La fine del 2015 in Kazakistan, paese di cui – al pari degli altri stati centroasiatici dell’ex Unione sovietica – i media parlano assai raramente, si è chiusa con l’ennesimo assalto all’informazione indipendente.
Il 18 dicembre, nel centro della capitale Almaty, la polizia ha effettuato un raid nella redazione del portale indipendente Nakanune.kz e nelle abitazioni di tre dei suoi giornalisti: Guzel Baidalinova, che del sito è anche responsabile, Yulia Kozlova e Rafael Balgin.
I tre sono attualmente sotto inchiesta per violazione dell’articolo 274 del codice penale, che punisce la “diffusione consapevole di false informazioni”.
La loro colpa è di aver continuato a occuparsi delle controverse attività della Kazkommetsbank, nonostante questo istituto di credito li avesse già denunciati alla giustizia civile per “calunnia”.
Molti dei giornalisti di Nakanune.kz provengono da Reaspublika, un quotidiano indipendente chiuso dalle autorità kazake nel 2012 per “estremismo”.
La vicenda del settimanale indipendente Adam è l’esempio da manuale di come la repressione colpisca tanto offline quanto online. Nel settembre 2015, Adam aveva ricevuto un ordine di sospensione delle pubblicazioni della durata di tre mesi. La redazione ha deciso di continuare a scrivere sul profilo Facebook della testata e un mese dopo Adam si è visto revocare la licenza ed è stato costretto a chiudere.
Dall’entrata in vigore, esattamente un anno fa, del nuovo codice penale, diverse persone sono finite sotto inchiesta per aver incitato alla “discordia” (reato descritto in modo assai generico dall’articolo 174) attraverso i social media.
Tra gli arrestati, figurano due attivisti, Yermek Narymbaev e Serkzhan Mambetalin, “colpevoli” di aver pubblicato sui loro profili Facebook estratti di un libro inedito che denigrerebbe il popolo kazako.
Un altro caso riguarda Elena Semyonova, componente del Meccanismo nazionale di prevenzione e della Commissione pubblica di monitoraggio, due organismi che hanno il compito di verificare la situazione delle carceri. Il suo ruolo semi-ufficiale avrebbe dovuto proteggerla dalla persecuzione. Invece, è finita in carcere per aver reso pubbliche attraverso Facebook le storie di detenuti sottoposti a maltrattamenti che aveva incontrato durante le sue visite.
Ma non basta. A novembre è stato arrestato Bolatbek Blyalov, direttore dell’Istituto per la democrazia e i diritti umani, a causa di materiale incitante alla “discordia” rinvenuto nella sua abitazione.
Infine, il 2 dicembre sono entrati in vigore alcuni pericolosi emendamenti alla Legge sulle organizzazioni non-profit. Sarà istituito un “ricettore” unico dei fondi destinati alle Ong kazake, compresi i finanziamenti provenienti da organismi internazionali, missioni diplomatiche e Ong internazionali. Il “ricettore” li assegnerà solo a quegli enti governativi e quelle Ong i cui progetti riguarderanno temi contenuti in una lista approvata dal governo.