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di Alberto Spampinato
L’Osservatorio è più visibile e incisivo. Ma c’è un gap fra l’alto numero di minacce da seguire e le poche e incerte risorse disponibili
Anche il 2016 è partito in salita, per Ossigeno per l’Informazione. Nelle prime tre settimane dell’anno l’Osservatorio ha documentato 27 minacce, più di una al giorno. Altri casi – alcuni gravi, clamorosi, difficili – attendono di essere affrontati come meritano. Li tratteremo tutti, speriamo, impiegando le nostre risorse, che sono modeste, limitate, per molti versi insufficienti. Purtroppo c’è un grande gap fra la mole dei casi da trattare e le risorse disponibili. Non è un fatto nuovo. Ma questo gap sta crescendo e non sappiamo ancora come colmarlo.
Ci sembra doveroso dirlo a coloro che sempre più numerosi si rivolgono a noi per ottenere visibilità, solidarietà, protezione: non è la nostra attenzione che difetta. Mi sembra utile dirlo anche a chi ha idee, spunti, suggerimenti, aiuto concreto da offrire. L’Osservatorio ne ha bisogno più che mai. Quest’anno è cruciale per il nostro progetto, per il lavoro che facciamo.
Nel 2015 Ossigeno ha documentato e rappresentato 521 minacce, intimidazioni, offese gravi, attacchi recati a giornalisti e blogger italiani a causa del loro lavoro di cronaca e inchiesta, a causa delle valutazioni che fanno e delle opinioni che esprimono. Questi 521 episodi e i primi 27 del 2016 hanno portato a 2700 l’elenco delle vittime elencate in questi dieci anni.
Dal 2006 a oggi Ossigeno ha prodotto questa imponente documentazione allo scopo di dimostrare agli increduli una cosa che a questo punto dovrebbe essere pacificamente accettata da tutti: in Italia chi pubblica informazioni di pubblico interesse sgradite a potenti e prepotenti corre seri rischi. In realtà, molti stentano ancora a crederlo, ad accettarlo, a trarne le conseguenze, nonostante l’evidenza dei fatti, nonostante i dati citati siano stati acquisiti, verificati e approfonditi dalla Commissione Parlamentare Antimafia nel corso delle due ultime legislature.
I dati di Ossigeno parlano chiaro. Ma ancora oggi molti non vogliono trarne le conseguenze. Eppure nel 2015 perfino il Governo, per la prima volta, ha riconosciuto pubblicamente che questo problema esiste: lo ha fatto ufficialmente con i suoi rappresentanti alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite che hanno sottoscritto degli impegni per risolverlo; lo ha fatto il 2 luglio 2015 con le parole del Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, alla conferenza di Ossigeno sulla protezione dei giornalisti.
Dunque, non si può dire che l’attività di Ossigeno sia stata inutile. Anzi, è stata determinante per arrivare a questo punto. Ha dato visibilità al fenomeno. Ha impedito di negarne la natura e la consistenza, come avveniva prima. Ha aperto gli occhi a operatori dell’informazione che non riuscivano a vedere ciò che accadeva, come avviene ancora a molti di loro. Ha fatto comprendere alle menti più aperte, che in Italia la libertà di stampa è molto meno libera di quanto comunemente si pensi. E’ difficile crederlo, lo sappiamo, ma i fatti sono questi.
Il monitoraggio delle intimidazioni e degli abusi, la verifica della natura e della fondatezza di ciascun episodio, la ricostruzione necessaria per rendere pubblici questi fatti in modo chiaro e incontestabile, hanno prodotto dati statistici dei quali nessuno disponeva. Ma la ricerca e l’analisi dei dati non hanno prodotto soltanto numeri. Svolgendo questa attività, Ossigeno ha studiato il fenomeno e lo ha descritto in modo oggettivo. Intervistando le vittime, Ossigeno ha appreso in quali e in quanti differenti modi si possono intimidire i giornalisti e imbavagliarli senza neppure violare la legge, senza incorrere in sanzioni e punizioni, in quali modi è possibile brandire come randelli le anacronistiche norme sulla diffamazione per impedire l’esercizio del diritto di espressione e di stampa riconosciuto dalla Costituzione, come silenziosamente, in una Repubblica democratica che ha bandito la censura classica 68 anni fa, si impone quella “censura in maschera” che abbiamo descritto a dicembre, a Roma, in una seminario di formazione di due giorni al quale hanno partecipato oltre 600 giornalisti.
In questi dieci anni, con un lavoro continuativo, quotidiano, Ossigeno ha analizzato questi e altri aspetti della questione, molti dei quali poco noti. La fenomenologia ha preso contorni via via più definiti. Il termine “querela pretestuosa” è diventato di uso comune. I dossier e i Rapporti di Ossigeno hanno collegato i problemi alle loro cause. L’Osservatorio ha proposto interventi, soluzioni concrete che aiuterebbero i cronisti in difficoltà, risolverebbero gran parte degli attuali problemi, scioglierebbero nodi che a noi appaiono evidenti.
In particolare, questo lavoro ci ha permesso di comprendere due cose: la prima, in Italia sono necessari interventi innovativi sia in campo legislativo sia per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro giornalistico e la loro formazione professionale; la seconda, molti di questi problemi sono presenti in modo analogo in altri paesi europei che ne parlano ancor meno che in Italia.
Questo è stato ed è il lavoro di Ossigeno. Un lavoro ingrato, controcorrente, che si è scontrato con l’ignoranza dei fatti, con l’incredulità generale, con il silenzio nel quale i giornali, i notiziari radiotelevisivi, i programmi di approfondimento tuttora avvolgono e nascondono le minacce ai giornalisti e gli attacchi alla libera informazione. Tuttora questo lavoro si scontra con i luoghi comuni, la rassegnazione, il fatalismo, la falsa convinzione che parlare di queste cose sarebbe inutile, complicherebbe la vita dei giornalisti o, peggio ancora, aggraverebbe la situazione. Si scontra con l’idea sbagliata, ma dura a morire, che violazioni così gravi della libertà di stampa avvengono soltanto in paesi lontani e diversi dal nostro, in paesi non democratici, autoritari, in paesi di dittatori e di orchi che ci fanno orrore. Si scontra con la comprensibile ritrosia delle stesse vittime, molte delle quali, in questo clima, non parlano dei loro guai per timore di ulteriori danni e sofferenze.
Questo è il lavoro che Ossigeno conduce con pochi mezzi, poche risorse umane e pochi finanziamenti.
Perché lo fa, dunque? Perché lo faccio io? Perché lo fanno i miei valorosi collaboratori? Le motivazioni ideali sono la cosa principale e rinuncio a elencarle per ovvie ragioni. Sarebbe retorico e inutile. Dirò soltanto che a incoraggiarci ad andare avanti è la soddisfazione di vedere i risultati, di constatare che grazie al nostro impegno una causa di indubbio valore civile guadagna terreno e conquista sempre nuovi sostenitori e alleati.
C’è anche la soddisfazione di vedere che il muro del silenzio e dell’indifferenza comincia a sgretolarsi sotto l’urto delle nostre deboli forze, delle contraddizioni insanabili che riusciamo a evidenziare. C’è l’orgoglio di annoverare fra i sostenitori, che ringraziamo, il Presidente della Repubblica e il suo predecessore, i Presidenti delle Camere, i vertici dell’Ordine dei Giornalisti e della FNSI (organizzazioni che ci concedono il patrocinio) e di alcuni Ordini regionali (in primo luogo quello del Lazio e quello della Lombardia), grandi giornalisti come Sergio Zavoli, autori di inchieste giornalistiche che hanno mutato la percezione della realtà e per questo devono vivere con la protezione armata delle forze dell’ordine, sopportare isolamento, denigrazione, minacce, procedure indegne di un paese civile, semplici cittadini che ci soccorrono, associazioni che riconoscono e apprezzano l’impegno civile che ci anima, la Commissione Europea, l’Osce, il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, e altre istituzioni internazionali che hanno premure e attenzione per ciò che facciamo.
Per fortuna c’è tutto ciò. E c’è inoltre la nostra testarda ostinazione ad andare avanti e l’entusiasmo personale che motiva il volontariato professionale gratuito di alcuni di noi. E’ una bella avventura e un buon investimento del proprio tempo. E’ un grande capitale. Ma non basta. Il realismo ci spinge a riflettere, a chiederci se dopo dieci anni il progetto Ossigeno può andare avanti e mantenere gli impegni, con le incerte risorse concrete di cui dispone. Dopo dieci anni questo lavoro può dipendere ancora da una scommessa da rinnovare mese per mese? Il 2016 è un anno cruciale per rispondere a questa domanda.
ASP