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I giornalisti disoccupati e la malapianta delle selezioni farsa

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Rari come le mosche bianche. Presi d’assalto da una categoria che è diventata una fabbrica di disoccupati. Con proposte di contratti talmente capestro e uno sfruttamento del lavoro tale che ormai conviene andare a lavorare in miniera. E, come se non bastasse, sempre più “sartoriali”, ovvero cuciti addosso al vincitore predestinato.

Sto parlando dei bandi di selezione dei giornalisti nella Pubblica amministrazione. Potrebbero essere una alternativa, sia pure parziale, alla crisi senza fine dell’editoria. Dovrebbero rappresentare una doppia opportunità: per l’ente pubblico e una politica sempre più lontana dalla gente quella di poter migliorare il rapporto con i cittadini affidandosi ad esperti di informazione e comunicazione e applicando finalmente lalegge 150 del 2000 che ne disciplina l’attività; per i tanti giornalisti a spasso, l’opportunità di giocarsi una nuova possibilità di contratto mettendo sul piatto la loro professionalità in una gara che dovrebbe essere leale e trasparente.

Invece appena esce uno di quei rari bandi, riecco spuntare, puntualmente, la malapianta della selezione pubblica truccata, fatta apposta per scegliere discrezionalmente chi si vuole ma senza avere il coraggio di sostenere apertamente le proprie scelte “fiduciarie”, usando invece le norme che dovrebbero favorire l’interesse pubblico solo per farsi belli davanti agli elettori, pararsi il sedere dagli attacchi dell’opposizione e dai ricorsi dei candidati.

Di seguito, ecco l’ultimo campionario delle offerte di lavoro giornalistico per le quali è ancora possibile presentare la candidatura. Tra esse, non ce n’è una che non sia in evidente violazione della legge 150, della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti (che, ad esempio, non prevedono il possesso della laurea come requisito obbligatorio per l’accesso alla selezione) e spesso anche del buon senso e del rispetto della dignità umana e professionale dei giornalisti.

Il bando per il “capo ufficio stampa responsabile della comunicazione” della Camera dei deputati, ad esempio, prevede l’assunzione con “contratto di collaborazione a tempo determinato di tipo subordinato” di durata biennale, che è di per sé una contraddizione di termini: se è lavoro subordinato non può essere una collaborazione. Di converso, la Camera, che a suo tempo approvò la legge 150, quanto meno non pretende come requisito obbligatorio la laurea, ma cerca “giornalisti con un’anzianità di iscrizione all’Albo dei giornalisti professionisti di almeno 10 anni, che abbiano una comprovata esperienza nel settore della comunicazione, con particolare riferimento alla conoscenza dei new media e dei social media, e che abbiano esercitato attività presso testate giornalistiche anche radiotelevisive oppure on line, a diffusione nazionale o presso gli uffici stampa di organi, enti o società di rilievo nazionale”. Per gli interessati, il bando scade il 14 gennaio.

La laurea è invece richiesta – e ci mancherebbe – per fare l’addetto stampa esterno della Fondazione Bardolino Top che promuove eventi turistici, le feste dell’uva e il buon vino rosso che si produce nel veronese e nelle campagne del Lago di Garda (il bando scade l’11 gennaio), e anche per coordinare la redazione e pubblicazione della rivista mensile della Camera di commercio di Udine (il bando scade 12 gennaio).

Un esempio illuminante di nuovo sfruttamento lo dà il Comune di Seriate, nel bergamasco (il bando scade il 22 gennaio), che cerca un giornalista per un’attività di lavoro dipendente mascherata da lavoro autonomo, con partita Iva. Propone un contratto di 45 mesi a 1.000 euro lordi al mese (oneri accessori compresi, con i contributi previdenziali completamente a carico del lavoratore, compreso il 2% che spetterebbe al datore di lavoro per la gestione separata Inpgi) con presenza almeno tre giorni alla settimana “coincidenti con la permanenza del sindaco”, orari di lavoro “anche serali e/o festivi” e una mole di lavoro – dalla redazione del giornalino del Comune e di diverse altre pubblicazioni alla cura della web-tv e del sito istituzionale, dai comunicati alla gestione dei social media, dall’organizzazione di conferenze stampa ed eventi al supporto dell’attività del sindaco e degli assessori – che sembrerebbe adeguata all’attività di un intero ufficio stampa più che di un solo addetto.

Ma il top si raggiunge a Padova, dove il Comune veneto cerca, addirittura, redattori anche non iscritti all’Albo, quindi in pratica giornalisti abusivi. Per farlo ha indetto una “selezione pubblica, per prova d’esame, per la formazione di una graduatoria per assunzioni a tempo pieno (36 ore settimanali) e temporanee, nel profilo di addetto alla informazione e comunicazione – categoria C”. Assunzioni per cui la legge 150 prevede l’obbligo dell’iscrizione all’Ordine. Al Comune di Padova, invece, basta “un’esperienza almeno triennale, anche non continuativa, nel settore della comunicazione istituzionale in qualità di redattore di siti web di Enti Locali”. Il bando scade il 14 gennaio).

L’esempio più eclatante del bando “sartoriale” lo offre, infine, il prestigioso Teatro San Carlo di Napoli che ha in corso la selezione (scadenza 18 gennaio) di un addetto stampa da assumere con contratto a tempo determinato per 3 anni. I candidati devono essere giornalisti iscritti all’Albo da almeno 5 anni, avere una “comprovata esperienza all’interno di una Fondazione lirico sinfonica da almeno 4 anni (idealmente sia all’interno dell’Ufficio stampa che della direzione/segreteria artistica/musicale)”, aver conseguito un titolo di studio in “Lettere Moderne con indirizzo Musica/Spettacolo” e sostenuto “l’esame di Storia della Musica”, oltre a conoscere “almeno una lingua straniera” e a possedere “doti di innata gentilezza e affabilità per il lavoro di relazioni, che l’incarico richiede”. Il colore degli occhi e dei calzini non è specificato.

Fonte: Voltapagina


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