La svolta è cominciata oltre un anno fa. Prima si è detto “un po’ stanchino”, poi ha dato il disco verde ad un “direttorio” di garanti del M5S, quindi ha levato il suo nome dal simbolo elettorale dei cinquestelle, infine ora ha annunciato che a febbraio tornerà a calcare i palcoscenici dei teatri accantonando i comizi. Beppe Grillo lascia i vestiti del politico e torna ad indossare quelli del comico, esibendosi nei teatri di Milano e di Roma. O meglio: alterna i vestiti del politico e del comico. A giugno si voterà per i sindaci di importanti città, tra le quali Milano e Roma, proprio le metropoli nelle quali si esibirà Grillo.
«Guardate che io sono sempre quel comico che avete conosciuto negli anni», ha precisato il fondatore del M5S in una intervista di due pagine al Corriere della Sera, impaginata nella sezione spettacoli. Ha aggiunto: «Io non sono il leader dei 5 Stelle», lui non è «a capo di niente», è «solo il garante». Non abbandona il M5S, ma fa «un passo di fianco».
È una grande novità per i pentastellati. Sberleffi, urla, improperie, Grillo, da quando diede vita nel 2009 al Movimento 5 Stelle, ne è sempre stato la guida carismatica ed indiscussa. Ha parlato in oceanici comizi, come quello di piazza San Giovanni a Roma del 2013: marcò l’improvviso boom elettorale alle politiche da zero al 25% dei voti. Ha lanciato tutte le principali battaglie dei cinquestelle: referendum contro l’euro, campagna contro gli immigrati clandestini, reddito di cittadinanza contro la povertà. Battaglie d’opposizione di matrice di destra e di sinistra. Ha sbertucciato Matteo Renzi come «l’ebetino di Firenze», ha lanciato l’allarme contro «la dittatura dolce» del presidente del Consiglio segretario del Pd. Il comico genovese è sempre stato la faccia, l’identità, l’anima della lotta lanciata dal M5S contro il sistema tradizionale dei partiti.
La crisi economica e la corruzione pubblica hanno messo benzina nel motore del M5S. La ricetta è stata semplice: opposizione totale, nessuna alleanza, al massimo delle intese tattiche in Parlamento con il vituperato Pd di Renzi (come per l’elezione dei giudici costituzionali).
Il «passo di fianco» compiuto da Grillo lascia spazio alle giovani leve. In testa c’è Luigi Di Maio, componente del direttorio pentastellato, vicepresidente della Camera. È un giovane deputato apprezzato in Italia e dalla stampa internazionale anglosassone. Lo stesso Grillo, tra il serio e il faceto, ha ipotizzato la sua leadership in futuro. Di Maio ha invitato alla prudenza e al realismo: «Non è in atto nessuna successione. La svolta, se ci sarà, sarà più avanti». E comunque, ha avvertito, non c’è bisogno «di nessun parricidio».
In sintesi: Grillo non si tocca. Certo è difficile immaginare i grillini senza Grillo. Il M5S, almeno finora, è Grillo, metà politico e metà comico, che indica le iniziative, fa le battaglie, alterna sberleffi a toni ispirati messianici. Ha fatto scalpore quando ha paragonato l’arca di Noè ai cinquestelle: la prima salvò l’umanità da una devastante alluvione, i secondi sono proposti come i salvatori dell’Italia. Comizi elettorali, spettacoli teatrali, battute. Grillo è affezionato al suo vecchio lavoro nello spettacolo: «Un comico è fatto così, si farebbe ammazzare per una battuta».