La Stampa è ottimista: “Migranti, un punto per Renzi”. Interpreta come un successo del nostro premier quello che Financial Times descrive come un “Cambiamento delle regole di Bruxelles che sposta quote di rifugiati più a nord”. Repubblica è preoccupata: Il Ppe, Renzi mette a rischio la Ue”, scrive. E collega quel giudizio negativo su Renzi del partito di maggioranza nella UE con il fatto che le “Banche (siano) sotto tiro (e con il) nuovo crollo di MPS”. Il Corriere media: “Roma-Bruxelles nuove scintille e prove d’intesa”, auspica.
É stato un giorno di manovre e timori. Mentre Huffington Post narrava di un Renzi preoccupato che Bruxelles e Berlino gli facessero fare la stessa fine di Berlusconi, mandandogli una lettera per metterlo sotto accusa, Palazzo Chigi archiviava una prassi consolidata e inviava un politico, il sottosegretario Calenda, non un diplomatico, a fare da ambasciatore a Bruxelles. La BCE chiariva di aver fatto solo una domanda “tecnica” sul rischio insolvenza alle banche italiane, senza alcuna intenzione di provocarne la caduta in borsa. Ma La Stampa oggi scrive: “Deficit, banche e fondi, Draghi e Berlino irritati con il premier”. E Massimo Franco sostiene che “un gesto ha sconcertato: la rapidità con cui il ministro degli esteri della Ue, l’italiana e renziana Federica Mogherini, ha scelto di schierarsi con Juncker rispetto a Renzi.” Insomma il timore è che Draghi e Merkel siano tentati di ripetere con Renzi il colpo riuscito con Berlusconi, cioè di proporre all’Italia, dopo averla messa sotto pressione, un governo “europeista”, a guida Moigherini anziché Monti.
L’irritazione è forte in Europa. Innanzi tutto perché né Draghi né Merkel avevano messo in conto che lo studente modello di Rignano si trasformasse in un emmerdeur, un rompiscatole inaffidabile. Non era così agli inizi: chiamato all’ordine dal Presidente della BCE, Renzi nell’estate del 2014 aveva subito deciso di andare allo scontro con sindacati e sinistra imponendo il jobs act; nel pieno della crisi greca aveva compiaciuto la Merkel e disprezzato Tsipras definendo il referendum greco un ballottaggio fra Dracma ed Euro. Ora è cambiato: le battute continue e pubbliche sui crediti bancari (da ripianare con soldi pubblici) e sul rientro dal deficit (che deve essere flessibile per chi abbia fatto le “riforme”) indeboliscono Draghi alle prese con l’ottuso rigorismo della Bundesbank. Quanto alla Merkel, il punto di rottura Renzi lo ha superato nel momento in cui ha creduto di poter usare Orban e Kaczynsky come compagni di polemica contro il raddoppio del gasdotto Nord Stream. Inaffidabile populista, deve aver pensato Angela. La Germania può sopportare una sfida aperta, non che si inciuci con la destra xenofoba (che rappresenta un suo incubo) per poi magari spuntare qualche contratto da Putin. Renzi ha usato con i leader europei le stesse tecniche guerresche che aveva sperimentato con Bersani, Camuso, Fassina e Civati. E ha sbagliato. Ora Angela Merkel non dirà una parola contro di lui, finché non lo vedrà cadere.
Questa notte da casa ascoltavo i senatori parlare.. Seduta notturna per discutere la riforma costituzionale, in un’aula vuota senza che lo streaming fosse seguito se non da qualche pazzo e dai diretti interessati. Perché? Perché ipse dixit, perché il premier ha speso la sua parola: la riforma va approvata il 20, non il 21 o il 22. Perché Renzi in difficoltà in Europa deve dimostrare di essere il padrone in casa, Punto. Si coglieva una sorta di sindrome di Stoccolma ascoltando quegli oratori notturni, quasi una libido nella sofferenza, “vedete, parliamo al vuoto, a quest’ora tarda, ci siamo”. A me invece quella maratona oratoria dava una diversa sensazione: il Senato non c’è più, mi sono detto, già ora, e senza bisogno che la riforma venga confermata dal referendum e l’italicum entri in funzione, il Parlamento si è trasformato in una fabbrica di voti (favorevoli) su provvedimenti legislativi auspicati dal giglio magico e scritti dall’ufficio legislativo di palazzo chigi diretto dall’ex vigile Manzione. Oggi Francesco Verderami scrive sul Corriere (a ricasco di quanto detto ieri da Verdini) che neppure il premio di maggioranza dell’Italicum garantirà a Renzi una maggioranza solida, perché un 10% dei suoi deputati, di riffa o di raffa, saranno delle “minoranza Pd”. Significa che il sistema riformato non sarà poi così stabile? Ma lo sappiamo, così come il licenziamento in 48 ore non cambierà le cattive abitudini di taluni dipendenti pubblici. Non si governa con le esibizioni muscolari, si fa solo finta. Però la mediazione si sposta dai luoghi ad essa deputati in altri luoghi. Speriamo non troppo frequentati dal fantasma di Gelli o da Verdini.
Ho chiesto a luglio l’espulsione di Del Robbio. Rosa Capuozzo, sindaco di Quarto, ha detto solo questo, di rilevante, ieri sera davanti alla Commissione Antimafia. Mai visti tanti commissari in antimafia né tanti giornalisti a far folla fuori. Ma la vicenda resta modesta, provinciale, minore. Con una sindaca che non vuole assessori nati nel paese che amministra – perché essendo “legati al territorio” – ella sospetta che siano manovrati dalla camorra. Eppure dice di non conoscere neanche i nomi noti dei camorristi di Quarto. Con un movimento tutto regole e distintivo, ma che non sa capire, non sa distinguere, non sa fare politica ed entra in confusione quando scopre che i mafiosi, quando vogliono, loro sì, sanno fare meglio politica. Con certi commissari del Pd trionfanti, perché mal comune mezzo gaudio. Apprezzo il modo con cui Rosy Bindi cerca di condurre, in acque agitate, l’antimafia, ma sono costretto a chiedermi se abbia ancora senso, dopo mezzo secolo, una commissione d’inchiesta sul fenomeno mafioso. Facciamone una ad hoc (e con dietro la data di scadenza) sulla corruzione. Smettiamola di offrire una tribuna a chi cerca solo visibilità, insultando i tanti che la strada alle mafie hanno cercato di tagliarla davvero, spesso pagando con la vita.