Ricordo una mattina d’inverno, a Roma, in occasione della candidatura alle primarie per i parlamentari del PD di Vincenzo Vita. Era il 28 dicembre 2012, un venerdì, e a condurre l’iniziativa era un’altra persona che non dimenticheremo mai: Santo Della Volpe, con la sua pacatezza, la sua intelligenza, la sua straordinaria capacità di conferire all’evento un’atmosfera quasi letteraria.
E accanto a me, appena ventiduenne, due mostri sacri come Sergio Zavoli e, per l’appunto, Ettore Scola. Non parlavano di politica, o meglio: parlavano anche di politica ma il tema portante della loro conversazione era il nuovo film, purtroppo l’ultimo, di Scola dedicato a Fellini. E giù ricordi, aneddoti, riflessioni, parole scolpite dalla poesia e trasformate in vera arte dalle loro voci anziane e dolcissime, dai loro capelli bianchi, dai loro volti espressivi, dal loro desiderio di raccontare e raccontarsi, di trasmettere e tramandare alle nuove generazioni una storia autentica e lunga quasi un secolo, passata attraverso i diluvi del Novecento e sopravvissuta intatta al crollo delle ideologie e alla triste scomparsa del pensiero e dell’analisi critica.
Ricordo Scola che ascolta, si confronta, discute, in un contesto dal sapore antico, nel quale si respirava vera politica, vera passione civile, vero impegno, vero desiderio di battersi per rendere migliore questo Paese.
E non importa che quell’avventura si sia conclusa male: non contano solo i risultati ma anche il percorso che li ha preceduti, questo lungo sentiero che è la vita, di cui il regista di Trevico ci ha regalato ritratti straordinari, spaccati epici, frammenti di gioia e riflessione, di tragedia e meraviglia, di magnifico intreccio fra comicità e malinconia, in un lento, nostalgico perdersi di immagini che compongono il mosaico della nostra vicenda collettiva.
L’antifascismo, la ricostruzione del dopoguerra, il boom, i numerosi cambiamenti nel panorama intellettuale, il mutamento dei costumi e infine la modernità che il Maestro scrutava e si sforzava di comprendere, tenendosi sempre, volutamente in disparte, pur essendo un regista di fama internazionale, un italiano da esportazione, un punto di riferimento per una sinistra di cui in “La terrazza” aveva compreso e descritto con rara abilità l’inizio della decadenza.
Probabilmente soffriva anche ma non si è mai arreso. Probabilmente, specie negli ultimi tempi, aveva perso amici e compagni di una vita ma non si sentiva solo, non lo era, grazie all’affetto che avvertiva accanto a sé e alle tante, straordinarie esperienze che lo hanno reso grande, rendendo, forse inconsciamente, migliori tutti noi.
Lungimiranza, stupore, incanto, amore per la libertà, fermezza e impegno costante in difesa di una certa idea del cinema e del mondo: questo era Ettore Scola e queste sono le ragioni per cui lo abbiamo amato, per cui abbiamo pianto davanti ai suoi film, per cui ci siamo commossi e per cui oggi avvertiamo un senso di dolore e di profonda assenza.
Poi osserviamo il cielo e pensiamo che lassù ha riabbracciato Fellini, Gassman, De Sica, Mastroianni, Giulietta Masina, Alberto Sordi, Manfredi e ci convinciamo che non è morto davvero: ha solo deciso di spostare la sua arte un po’ più in là, lasciandoci in eredità capolavori immortali.