Blasfeme, inopportune, offensive per i credenti..”, questo il commento che, sia pure con modi e toni diversi, i vescovi e l’Imam di Parigi hanno riservato al numero speciale di Charlie Hebdo, dedicato all’anniversario della strage. L’indignazione è stata provocata dalla copertina che raffigura un Dio della guerra e del terrore.
Naturalmente chi difende la libertà di satira non potrà che difendere anche il diritto alla critica e alla indignazione di chi si sente offeso o leso da una parola o da una immagine.
Eppure, mai come questa volta, ci sentiamo di condividere non la lettera, ma lo spirito di chi ha ideato, scritto, disegnato, voluto questa edizione speciale, copertina compresa.
La critica alle religioni, al fanatismo, al dogmatismo, e all’uso del nome di dio, in questo caso con la minuscola, era ed é uno dei temi che attraversano la raccolta dei numeri di Charlie e che hanno ispirato alcuni dei più urticanti editoriali scritti o disegnati dai fondatori, molti dei quali sono stati giustiziati da un gruppo di boia che ha oltraggiato il nome di Dio, in questo caso con la maiuscola.
Quei disegni e quelle parole non sempre ci hanno convinto, anzi talvolta li abbiamo trovati ambigui, legati ad una cultura eurocentrica e non sempre in grado di cogliere le differenze e le diversità che si manifestano nello stesso mondo islamico, ma queste sono considerazioni che nulla hanno a che vedere con la libertà della satira. Chi ha pensato questo numero straordinario di Charlie ha fatto la scelta giusta: quella di non tradire lo spirito del giornale, di rispettarne l’anima, di dare continuità ad una ispirazione che pure ha provocato l’odio dei fanatici, sino ad armare la loro mano.
Chi, invece, rischia di tradire quelle donne e quegli uomini, sono quei governanti che, dopo aver sfilato, mano nella mano, a Parigi un anno fa, inneggiando alla libertà di satira e di informazione, stanno ora portando alla approvazione norme e leggi che limitano il diritto di cronaca; che, in nome della lotta al terrore, vorrebbero restringere la libera circolazione delle persone e delle idee.
Basti pensare alla cosiddetta “Ley mordaza“in Spagna, ai “bavagli“ ungheresi e polacchi, alle nuove norme francesi in materia di controlli sulla rete, alla riforma delle intercettazioni in Italia e l’elenco potrebbe proseguire, con quei paesi islamici che, pur presenti al corteo di Parigi, hanno continuato ad impiccare gli oppositori e ad incarcerare cronisti, disegnatori, blogger, in testa Iran, Arabia Saudita, Siria e Turchia.
Costoro hanno dimenticato gli impegni assunti nella giornata della strage, hanno archiviato il giuramento a “Non tradire” quei morti e a tutelare i valori che quella redazione incarnava. Chi oggi vuole davvero onorare il passato, ma anche il presente di Charlie Hebdo, ha il dovere di ripartire da quell’immenso corteo parigino che chiedeva di “Non cedere al ricatto del boia” e di garantire le libertà e i diritti fondamentali e, tra questi, il diritto alla libertà di informazione e di satira, anche e soprattutto quando esprimono contenuti e segni grafici che possono non piacere a tutti.
Fuori da questi valori esistono le società chiuse, oscurantiste, integraliste, nulla di più distante dallo spirito iconoclasta e provocatorio di Charlie Hebdo.