L’uomo che cadde sulla Terra non c’è più. Piace pensare che abbia fatto il viaggio di ritorno verso quell’universo lontano da cui sembrava fosse venuto, nel film che lo aveva visto debuttare al cinema giusto quarant’anni fa, quand’era già una star del rock.
David Robert Jones, in arte e per tutti David Bowie, è morto tre giorni dopo il suo sessantanovesimo compleanno e il suo ultimo album capolavoro, “Blackstar”, opera visionaria e geniale, intrisa di jazz e contemporaneità. Fa impressione rivedere oggi l’ultimo video: “Look up here, I’m in heaven…”, canta disteso a letto, con gli occhi bendati, due piccoli occhietti di plastica applicati sulla benda al posti di quelli veri. L’artista lottava da un anno e mezzo contro il cancro. Questi suoni, queste parole, queste immagini hanno oggi più che mai il sapore di un oscuro presagio, di un testamento.
Il testamento artistico e musicale di un uomo che ha fatto la storia del rock, con fertili incursioni in altre arti. Mezzo secolo di carriera (aveva cominciato davvero giovanissimo: il primo 45 giri, “Can’t help thinking about me” e “And I say to myself”, era uscito il 14 gennaio 1966), trenta album, centocinquanta milioni di dischi venduti. Questo ma non solo questo è stato David Bowie.
L’incontro con Lindsay Kemp e con Andy Warhol gli indicano presto la strada. Eleganza e trasgressione, originalità e ambiguità sessuale, soprattutto i continui cambiamenti (“Changes” non è solo il titolo di uno dei suoi tanti dischi capolavoro) sono la sua cifra esistenziale e stilistica. Di volta in volta diventa Ziggy Stardust e Duca Bianco, in album come “Space Oddity” (con quei versi leggendari, “Ground control to major Tom…”: ne esiste anche una sua versione in italiano, “Ragazzo solo ragazza sola”), “The man who sold the world”, “The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”…
Dopo “Station to station” nel ’77 va a Berlino, si libera dalla droga, collabora con Brian Eno, sforna tre capolavori assoluti come “Low”, “Heroes” e “Lodger”. Cambiare, cambiare. Il rock che vira sulla dance e il funk (“Let’s dance”), che non si fa problemi a flirtare con la musica commerciale, che guarda sempre avanti.
La lista dei titoli è lunga, infruttuoso ripercorrerla. David Bowie ha lasciato al mondo un’eredità culturale e musicale ricchissima. Da cui generazioni di artisti hanno già attinto e continueranno a cogliere spunti, idee, insegnamenti. Con i Beatles, Dylan e pochi altri grandissimi ha scritto la musica classica del Novecento.