È l’indomani degli attentati di Parigi, in un servizio del giornalista Antonino Monteleone per Piazzapulita, un poliziotto italiano dimostra, protetto dall’anonimato, che i giubbotti antiproiettile in dotazione alla nostra polizia sono scaduti e inefficienti contro la potenza di fuoco di un kalashnikov. Il servizio va in onda il 26 novembre 2015, con tanto di dimostrazioni balistiche. “In una situazione come Parigi cosa accadrebbe?” chiede il reporter. Risposta dell’agente: “Siamo morti”.
Lo scorso 4 gennaio, la Procura di Roma, a firma del sostituto procuratore Stefano Nava, ha disposto il sequestro di questo servizio, destinando l’ingiunzione non all’autore Monteleone, che avrebbe legittimamente opposto il proprio segreto professionale a tutela delle fonti, ma alla sede della società proprietaria del network sui cui è andato in onda, La7 srl. All’emittente, il giudice dispone di consegnare il video originale, privo delle alterazioni necessarie a garantire l’anonimato, “ovunque esso sia custodito” e LA7 è obbligata ad eseguire.
Ieri la redazione di Piazzapulita ha diffuso una nota per denunciare l’accaduto, ottenendo subito solidarietà da parte della FNSI. Abbiamo chiesto al conduttore di Piazzapulita, Corrado Formigli, le ultime novità sul caso e un commento sulle conseguenze che un comportamento simile da parte della magistratura potrebbe avere sulla libertà di cronaca.
A che punto è il procedimento? Vi hanno già fisicamente obbligato a consegnare il video senza alterazioni o c’è ancora la possibilità di evitarlo?
A quanto mi risulta il sequestro è stato già effettuato presso LA7 da parte dell’autorità giudiziaria, quindi la violazione del segreto è già stata realizzata.
Quindi l’anonimato della vostra fonte è già compromesso?
Temo proprio di sì.
La Procura di Roma ha quindi letteralmente aggirato il segreto professionale del giornalista Monteleone, rivolgendosi direttamente all’azienda proprietaria del network per cui lavorate.
Assolutamente sì. È avvenuto questo, visto che le emittenti non possono esimersi di fronte ad un ordine di sequestro, perché si ritroverebbero una perquisizione o un sequestro di tutti gli apparecchi, i computer, gli hard disk, le e-mail, etc. Per cui, evidentemente, attraverso questo escamotage di rivolgersi direttamente alle emittenti, si calpesta letteralmente il segreto professionale. Poi, anche se l’atto si rivelasse illegittimo, perché mi risulta che La7 abbia fatto giustamente opposizione verso questa intrusione, la fonte sarebbe comunque svelata. Quindi è veramente un aggiramento gravissimo del segreto professionale.
Vi era mai capitato prima?
È la prima volta che avviene. Questo crea un precedente molto grave. Credo fosse già avvenuto nei confronti di altri giornalisti ed altre emittenti, ma per noi è la prima volta.
Qual è il reato per cui il vostro poliziotto anonimo è perseguito?
Non lo sappiamo, non siamo stati informati. Nell’ordine di sequestro a La7 non sono precisati i reati per i quali si sta indagando, perché non essendo indagata La7 e non essendo indagati noi, non veniamo informati neanche dell’ipotesi di reato.
Puoi immaginare cosa comporterebbe lo svelamento forzato dell’identità per questo poliziotto?
Io sono molto avvilito e anche molto triste per quello che è successo. Faccio un appello, a questo punto, alle forze di polizia, che pure hanno chiesto alla magistratura questo tipo di intervento. Mi auguro che non ci sia nessun intento punitivo nei confronti di una persona, di un agente che ha semplicemente lanciato un allarme, facendo sapere all’opinione pubblica che ci sono delle falle nell’equipaggiamento della nostra polizia e quindi cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che abbiamo bisogno di una polizia attrezzata con strumentazioni più moderne ed efficienti. In questo senso il servizio aveva ovviamente un valore giornalistico, di denuncia, e l’azione del poliziotto andava assolutamente in questa direzione, denunciare qualcosa che non va, in difesa della sicurezza dei cittadini. Quindi, la cosa che io dico con grande forza è: ci auguriamo che non vengano presi provvedimenti punitivi nei confronti di un poliziotto che ovviamente ha usato l’anonimato perché altrimenti non sarebbe stato autorizzato a svelare queste situazioni. Lo ha fatto per denunciare un fatto che comunque c’è nel nostro paese. C’è un problema di ammodernamento degli equipaggiamenti di sicurezza. Su questo non c’è alcun dubbio.
Che cosa comporta una violazione simile per il vostro lavoro e quello di tutti i colleghi?
Comporta il fatto che siamo tutti più deboli. Perché innanzitutto, attraverso la tutela del segreto, possiamo dare più informazioni all’opinione pubblica. E qui si tratta di rinunciare ad una parte di informazioni che possiamo dare. Come sa qualsiasi giornalista d’inchiesta, spesso le informazioni si possono ottenere garantendo l’anonimato a chi ce le dà. Anche perché molte cose non si potrebbero conoscere in altro modo. È chiaro che ci vuole una reazione da parte dell’Ordine dei Giornalisti, dei colleghi, del sindacato dei giornalisti, credo anche degli editori. È necessario che gli editori si facciano sentire. E ci vuole un senso di responsabilità da parte della magistratura. Infatti io mi auguro che la magistratura, l’Anm, si rendano conto che avallare e realizzare questi comportamenti di fatto viola molti principi tutelati dalla Costituzione, compreso appunto il diritto di esprimere opinioni e il diritto di informare. Per cui, se passa questo comportamento, ci sarà una peggiore informazione, un’informazione più scadente. Perché qua non stiamo parlando del diritto di dire quel ci pare, io non sto qui rivendicando il fatto che un giornalista possa dire quello che vuole, aiutandosi con lo scudo dell’anonimato della sua fonte. Stiamo parlando di un giornalista che ha comunque verificato la serietà di quella fonte e la fondatezza di quello che dice, ma che la deve tutelare perché è l’unico modo di fare uscire un’informazione. Tant’è vero che per il nostro servizio non c’è stata una contestazione nel merito, sui contenuti del lavoro di Antonino Monteleone. È evidente che l’ordine di sequestro ha soltanto un intento punitivo. Voler dare un esempio, colpendo questo agente di polizia per scoraggiare gli altri a fare altrettanto in futuro.
Infatti questo comportamento sembra riconoscere la legittimità del segreto professionale e quindi la necessità di aggirarlo. Riconoscono che in questo caso la fonte era verificata.
Certo, perché se il principio è garantito, dietro questo principio c’è chiaramente un valore costituzionale da tutelare. Che è il valore della libertà di informare, il diritto di cronaca. Per cui se l’aggiramento è così facile, questo valore di fatto non esiste nel nostro paese. E questo è un fatto gravissimo.