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“Come giornalista dico che il caso Alpi non sarà mai chiuso”. Intervista a Maurizio Torrealta

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Maurizio Torrealta è stato caporedattore delle inchieste di Rainews24 quando il direttore era Roberto Morrione. Ma era prima di tutto un collega di Ilaria Alpi al Tg3. Non si è mai rassegnato all’idea che Ilaria fosse stata zittita per sempre e anche grazie alle sue inchieste è stato rotto il silenzio che seguì quel duplice omicidio. Sono passati quasi 22 anni da quel 20 marzo 1994 e nonostante le incessanti richieste di verità, sembra che in Italia sia impossibile fare chiarezza sul caso Alpi. Ma per Torrealta finché non sarà risolto, il caso non è chiuso.

Dietro la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si celano risvolti complessi e preoccupanti. Come agisce il giornalista d’inchiesta?
Bisogna fotografare dall’alto tutto quello che è successo considerando lo sviluppo temporale dei fatti. Se non si fa così i singoli episodi rimangono sempre controversi. Siamo in una situazione di guerra il che farebbe pensare che la morte sia una variabile che deve essere tenuta presente. Ma se si guarda l’ultima intervista fatta da Ilaria si capisce immediatamente che stava indagando su un affare della Cooperazione e nello specifico di una flotta di navi. Di cui una era stata sequestrata. Il sequestro di questa nave secondo me non è mai stato preso abbastanza in considerazione. Quando siamo andati a chiedere alla Schifco venne negato il sequestro. Non era solo il tentativo di non dare visibilità alla cosa. Il problema era il materiale che veniva trasportato: avrebbe imbarazzato molto il governo soprattutto perché eravamo all’epoca di Mani pulite e perché le operazioni erano finanziate da soldi pubblici. Soldi che erano del Fondo aiuti internazionali e che servivano in realtà a trafficare due tipi di merci. Le armi, e questo ci è stato detto in maniera molto chiara durante le interviste a Bosaso; i rifiuti tossici. Le armi venivano pagate cedendo luoghi dove seppellire i rifiuti. Dopo il crollo del governo di Siad Barre non venivano più neanche seppelliti ma affioravano dal mare. Provocando ieri come oggi, effetti dannosi sulla popolazione.

Ilaria Alpi rispetto alla ricostruzione di tutti questi tasselli, dove era arrivata?
Sicuramente all’individuazione della flotta Schifco e alle armi tanto è che nelle videocassette rimaste abbiamo trovato un ripresa di pochi secondi nella quale si vedeva una cassa di legno piena di Kalashnikov. Abbiamo scoperto che Ilaria aveva letto un articolo uscito sull’Europeo un mese prima che fosse uccisa, in cui si parlava di tangenti che avevano fatto litigare due società perché mal distribuite. Questo provocò anche l’imbarazzo di politici socialisti coinvolti nell’affare. Lei ne era a conoscenza. Tutto questo però non può rappresentare un motivo per uccidere una persona. Il fatto è che lei è andata a fare le riprese su una strada che va da Garoe a Bosaso. Sembra sia stata asfaltata proprio per movimentare la terra e permettere di stivare nelle cave di ghiaia i bidoni tossici. Un ingegnere che ci lavorava mi disse che quando la mattina si recava lì, trovava i mezzi di movimentazione della terra in posti diversi da dove li aveva lasciati la sera prima.

Chi era interessato a far tacere Ilaria?
Occupandomi di altri commerci in Africa di materiali tossici, mi sono reso conto che dietro questa operazione c’era una struttura all’interno dei Servizi segreti che ha partecipato in maniera molto attiva. Non era un’operazione tra privati: in quel momento al governo c’era Craxi e credo che dietro l’esportazione illegale di rifiuti tossici ci fossero i Servizi di Intelligence che dovevano garantire la massima segretezza. Non ci sono riusciti perché se due persone vengono uccise dopo aver fatto quelle interviste è normale insospettirsi e indagare. Ilaria parlava bene l’arabo, conosceva molte donne somale e lì c’era una cultura orale inarrestabile anche per il consumo di qat, un’erba che dà un’ebbrezza che fa chiacchierare anche quelli che non parlano mai. Ilaria sapeva e sono sempre più convinto che abbia toccato un tema delicatissimo, che ci fosse un accordo su questo traffico di armi e rifiuti che superava gli schieramenti politici. Era un accordo di governo, ne avevano tutti vantaggio. Studiando le società che gestivano quelle navi ci si rende conto subito che anche parte della sinistra ha avuto il suo sharing di questa operazione e che si è cercato di non affrontare questo argomento il più a lungo possibile.

Qual è l’aspetto più preoccupante del fatto che dopo così tanti anni non si sia ancora arrivati alla verità?
L’aspetto che non deve uscire è chi ha voluto l’omicidio. Perché chi l’ha fatto aveva l’intento specifico di evitare che questa notizia venisse diffusa. Sarebbe finita sulle reti nazionali perché riguardava attività segrete dello Stato. Il capo dei Servizi in Somalia allora era Raiola ed è ufficialmente morto ma secondo me bisogna essere diffidenti su tutto. Così come mi viene da sospettare che le navi su cui indagava Ilaria continuino le attività di questa grossa operazione. Quando i traffici sono grossi, profondamente illegali e coinvolgono lo Stato, la rete di ragno, quella della giustizia, viene bucata. Non riusciranno a fermarli. Io sono convinto che il caso Alpi sia così importante perché non c’è solo la morte di Ilaria dietro ma un continuo trafficare di sostanze estremamente dannose che possono provocare morte in maniera terribilmente pericolosa.

La richiesta di revisione della sentenza che ha condannato Hashi Omar Hassan è stata accolta. Si può considerare un momento di svolta anche per l’omicidio di Ilaria e Miran?
In Italia succede sempre che riesci a dimostrare il depistaggio ma non a cogliere le responsabilità prime di chi ha ideato il crimine. Certo, c’è stato un depistaggio per arrestare un innocente e si è fatto garante di questa operazione un ambasciatore. Che ha portato Hashi qui con l’inganno. È stato tutto un trucco e lo hanno condannato per trovare una persona a cui dare la responsabilità dell’omicidio. Una persona che è del tutto innocente. Anche questa operazione non ha dimostrato il buon funzionamento del diritto nel nostro paese. Perché quando ci sono di mezzo soggetti potenti si possono permettere di modificare le regole del funzionamento della democrazia con una immunità pressoché totale. Io invece spero che si riesca a impedire che questo si ripeta. Dobbiamo creare degli anticorpi che ci permettano di non subire queste umiliazioni rispetto al giornalismo e alla democrazia. Come giornalista dico che il caso Alpi non sarà mai chiuso. Per un familiare capisco perfettamente se non se ne vuole più sentir parlare. Ma come giornalista questa cosa finché non viene risolta deve essere investigata anche oltre le carte giudiziarie. Credo sia un dovere andare avanti. Questo vale per il caso Alpi come per il caso Moro e tanti altri, che sono fondamentali per ristabilire le regole democratiche del nostro paese.


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