Di Alessandro Cardulli
Se non fosse troppo altisonante, l’approvazione da parte degli esecutivi di Cgil, Cisl, Uil di un documento che si propone di riscrivere “il sistema di relazioni industriali. Per uno sviluppo economico fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro” si potrebbe definire un evento storico, una tappa importante di un sindacato che vuole rinnovarsi, recuperando forza, credibilità. Una risposta anche alle campagne portate avanti dal governo, complici i grandi giornali, per screditare i sindacati. Rinnovatevi o lo faremo noi, per legge, è lo slogan che da Palazzo Chigi , giù giù per li rami, si è fatto circolare. Un tentativo pesante, che fa a pugni con la Costituzione, di annullare il ruolo del sindacato colpendolo nel punto vitale: la contrattazione. In questo modo, spargendo miele sulle strade percorse da Confindustria, si annulla il ruolo politico e sociale della rappresentanza del mondo del lavoro, la sua capacità di intervenire sui grandi processi economici, sulle scelte di fondo del Paese, con l’obiettivo di dare risposte non solo alle esigenze dei lavoratori e delle imprese, ma – dice Franco Martini, segretario Confederale della Cgil con delega alla contrattazione in una intervista rilasciata a Rassegna.it – all’interesse generale del paese e alle sue possibilità di uscire dalla crisi. E tiene subito a precisare che “il contratto nazionale resta il punto di riferimento come autorità salariale”.
Il sindacato a pieno titolo uno dei soggetti fondanti della società democratica
Un sindacato che non si chiude nei recinti delle fabbriche, dei luoghi di lavoro, una presenza comunque essenziale, significativa, ma che diventa a pieno titolo uno dei soggetti fondanti della società democratica, rivendica con le sue azioni, i suoi progetti un ruolo importante di una forza sociale che rappresenta milioni di lavoratori. Per i “poteri forti” tutto ciò non è di facile digestione. Non è un caso che si sono trovati dalla stessa parte un governo che, di fatto, rifiuta un rapporto stabile e costruttivo, certo nella differenza dei ruoli, e una Confindustria che punta allo smantellamento della contrattazione nazionale, strumento fondamentale per un sindacato non corporativo. L’Ad di Fca, Marchionne, ha addirittura abbandonato l’associazione degli imprenditori per contrattare, fabbrica per fabbrica, stabilendo lui le regole del gioco, tornando alle discriminazioni degli anni ’50 e ’60, tentando di isolare la Fiom non solo nelle “sue” aziende. Ed ottiene l’effetto contrario. Le tute blu scelgono la Fiom Cgil, sindacato maggioritario ovunque.
Un sindacato, quello che emerge dal documento, che “guarda” al complesso della società, dai luoghi di lavoro al territorio, verticale e orizzontale, per usare il “sindacalese”, che “propone – è scritto nel documento – un moderno ed innovativo sistema di relazioni industriali”, che “può consentire di fare del lavoro e dell’impresa, pienamente valorizzate nella loro funzione sociale ed economica, leve importanti sulle quali agire per un cambiamento profondo del Paese e, inoltre, confermare i corpi intermedi della società come fattori centrali della necessaria modernizzazione e crescita democratica”. Un punto di svolta anche nel rapporto fra Cgil, Cisl, Uil che proprio su contrattazione, ruolo del sindacato, partecipazione dei lavoratori, si muovevano su linee ed opzioni divergenti. Non a caso nell’era Berlusconi ministri come Sacconi, Tremonti, lo stesso premier avevano cercato, con qualche successo, di isolare la Cgil, tentativo non riuscito ma che aveva indebolito l’intero movimento sindacale. Proprio sui problemi della rappresentanza, del rapporto fra sindacato e lavoratori, del complesso della contrattazione, del valore dei contratti nazionali in rapporto alla contrattazione aziendale era arrivata la rottura della Federazione Cgil, Cisl, Uil. Ora, recita il documento, “è possibile rilanciare un progetto di unità sindacale, a partire dai luoghi di lavoro, che faccia delle nuove regole il terreno sul quale esercitare liberamente e rendere pienamente esigibile la contrattazione a tutti i livelli”.
Martini (Cgil). La partecipazione: investire sulla risorsa lavoro anche come “intelligenza collettiva”
Martini, nell’intervista a Rassegna, introduce un termine nuovo, afferma che “è prioritario investire sulla risorsa lavoro come fattore di prestazione d’opera ma anche come intelligenza collettiva”, perciò questo fattore “va coinvolto nelle scelte di prospettiva aziendale, per esempio nella riorganizzazione dei processi produttivi”. Si tocca così il delicato tema della partecipazione dei lavoratori e delle regole: un capitolo molto importante del documento. Argomento ostico per Confindustria ma anche per il governo. Un “paradosso” dice Martini, si richiamano “esperienze partecipative di altri Paesi, ma al dunque non se ne fa di niente”. Esperienze, i modelli nordeuropei, precisa, che “per via delle dimensioni aziendali non sono interamente trasferibili al nostro paese”. Per questo “dobbiamo inventarci una via italiana alla partecipazione”.
Il contratto nazionale deve mantenere la sua piena funzione di autorità salariale
Poi replica a chi dice, sia nel campo imprenditoriale che in quello governativo, che il contratto collettivo nazionale si occupa solo di inflazione e che tutto il resto si sposta al secondo livello. “Significa una cosa sola – dice Martini – condannare la stragrande maggioranza dei lavoratori a salari bassi. Il contratto nazionale deve mantenere la sua piena funzione di autorità salariale per incidere nella dinamica di crescita delle retribuzioni. Per far questo, però, oltre a prendere a riferimento fattori macroeconomici, anche se non solo l’inflazione, deve anche redistribuire una parte della ricchezza prodotta.” Da queste valutazioni il “no” secco al salario minimo legale che piace tanto al governo. Ribadisce: “Per Cgil, Cisl e Uil i salari minimi sono quelli stabiliti dai contratti. Affinché diventino ‘legali’ debbono essere erga omnes e per questo lanciamo un’altra sfida al governo: quella dell’applicazione dell’articolo 39 della Costituzione”. E sempre al governo si rivolge respingendo i tentativi di intervenire anche sulla rappresentanza, una parte molto significativa e innovativa del documento di Cgil,Cisl, Uil: “C’è già il Testo Unico concordato con Confindustria e poi sottoscritto anche da altre associazioni degli imprenditori”.
È giunto il tempo che si affronti anche il tema della rappresentanza delle associazioni datoriali
“Se il governo vuole fare una legge sulla rappresentanza, non deve fare altro che ratificare il Testo Unico ed estenderlo agli altri settori. Aggiungo che è ormai giunto il tempo che si affronti anche il tema della rappresentanza delle associazioni datoriali. È arrivato il momento di contare anche quanto pesano i sindacati delle aziende, e non solo quelli dei lavoratori. Le difficoltà che la contrattazione incontra sono spesso legate proprio alla frammentazione e alle divisioni del fronte patronale.” Ancor prima che il testo venisse reso noto arrivavano pesanti critiche da Confindustria che elabora un suo documento e tenta di bloccare i rinnovi contrattuali delle singole categorie, che seppur a fatica, sono in campo, fino alla stesura di un testo concordato sulle relazioni industriali. La tattica è chiara: prendere tempo per fare in modo che intervenga il governo. I segnali ci sono tutti. Non è un caso che, per quanto è dato conoscere, Confindustria si muova nella elaborazione del suo documento a rimorchio di posizioni di esponenti della maggioranza di governo. Secca, in anticipo, la risposta di Martini: “Sono posizioni, quelle di Confindustria, che non ci sorprendono. Così come non ci meravigliano quelle dei vari Sacconi e Cazzola che parlano di un sindacato vecchio e che tornerebbe all’antico. Credo che il loro obiettivo sia chiaro: ostacolare il rinnovamento del sistema delle relazioni industriali in Italia per offrire una sponda al processo in atto di svuotamento dei corpi intermedi tra i quali, ovviamente, i sindacati occupano un posto di rilievo”.