Si riuniscono, per affrontare l’emergenza smog italiana, i responsabili delle regioni, il ministro dell’Ambiente e gli “esperti” della Sanità: i figli del nulla. Cos’è il nulla? Il Nulla è quanto resta della cultura scientifica italiana. Negli anni Sessanta nacque, all’interno di un CNR allora quotato ai massimi livelli nel mondo, l’Istituto, allora Laboratorio, sull’Inquinamento Atmosferico, guidato da uno scienziato di fama mondiale: il professor Arnaldo Liberti. Notiamo che il CNR è, o dovrebbe essere, il consulente scientifico dello Stato che paga le spese (oggi, per la verità, paga veramente troppo poco) di una ricerca pubblica che avrebbe dovuto, in origine, essere indipendente dagli interessi meramente economici dei privati. Oggi, con grande delusione, assistiamo allo spettacolo di uno Stato che, in un momento (non casuale) di emergenza, non sa nemmeno quali e dove siano le sue risorse di sapienza e riunisce, per l’ennesima volta, dei referenti molto politici e poco tecnici. Una situazione questa che si trascina ormai da circa tre decenni.
Scuola, ricerca e sapere in generale sono stati considerati inutili orpelli da una politica intrisa di sapienza bottegaia, una politica che ha considerato “inutile” qualsiasi spesa volta ad alimentare il patrimonio intellettuale di una nazione che in questo campo aveva sempre primeggiato nel mondo per genialità e competenza. A chi dava fastidio tutto questo? Ai “poteri forti” di questo pianeta. Quelli che, a detta dei nostri servili condottieri, non esistono ma hanno fatto fallire in Italia prima il CNEN, le cui ricerche erano molto più avanzate che negli Stati Uniti, poi il Polo chimico che, con il premio Nobel Natta, rischiava di oscurare il resto del mondo, poi la Olivetti che, prima nel mondo, lanciava la sfida della moderna tecnologia informatica, facendo ombra alla IBM e, soprattutto, dando un esempio di politica aziendale che faceva tremare le vene e i polsi ai liberisti di oltreoceano e ancor più ai neo-liberisti attuali. Poi venne Berlusconi, o meglio il berlusconismo, che, con le sue posizioni piduiste, cercò di smantellare tutta la ricerca pubblica, ponendo il CNR tra gli enti inutili. Non ci riuscì, ma riuscì in un altro disegno: la privatizzazione di fatto che consistette nel privare la ricerca pubblica dei mezzi vitali di sussistenza (facendo una distinzione scolastica e retrograda tra ricerca pura, che sarebbe spettata ad un’università sostanzialmente arretrata, e ricerca applicata) e costringendo i ricercatori a trasformarsi in venditori di capacità tecniche ad un’industria sostanzialmente aliena al mondo dell’innovazione che riceve contributi statali per modernizzazioni che, quando pure sono reali, vengono in sostanza recepite da Stati Uniti, Giappone e Germania che, tra l’altro, si stanno ormai accaparrando anche la proprietà di quel poco di buono che restava nel nostro Paese.
In trent’anni, quindi, abbiamo cumulato fughe di cervelli e conquiste di posti dirigenziali da parte di studiosi autoreferenti la cui migliore competenza era quella di soddisfare spartizioni di fondi nazionali e comunitari a se stessi e agli amici degli amici. Nei laboratori di ricerca ormai le persone competenti sono rare come le mosche bianche e le poche rimaste sono emarginate e prive di ogni capacità decisionale.
Quali proposte arrivano, dunque, dagli auto-proclamati “esperti” che non conoscono la dipendenza dei cambiamenti climatici dai fattori antropologici né la differenza tra particelle e molecole né le reazioni fotochimiche né la relazione tra inquinanti primari e secondari né la differenza tra diffusione e trasporto? Tutto il problema “inquinamento” è stato finora trattato come un grande “business” in cui non si dovevano pestare i piedi all’industria del trasporto su strada (unica risorsa cui hanno finora saputo rivolgersi i sedicenti economisti di tutto il mondo) né alle fiorenti società petrolifere. È andata avanti così la farsa dei vari euro-zero, uno, due, tre e via discorrendo, senza valutare l’impatto ecologico della rottamazione e successiva, frequente e ossessiva, messa sul mercato di nuovi veicoli e relativi sistemi di abbattimento. Tutto ciò stendendo un velo di pietoso silenzio sulle truffe tecnologiche della Volkswagen e non solo. Oggi poi sento perfino una proposta di “decarbonizzazione” dell’ILVA. Si vuole produrre acciaio senza carbone? Chiudiamo qui il discorso. Forse se la scuola fosse su il serio la “Buona scuola” non dovremmo sentire certe asinate che bene si accoppiano con le targhe alterne e il blocco dei riscaldamenti.
Giuliano Bertoni (Ex primo ricercatore dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico presso il CNR)