Naji Jerf era uno dei pochi giornalisti indipendenti rimasto a raccontare le atrocità dello Stato Islamico. È stato ammazzato ieri, a Gaziantep, città a sud della Turchia, ai confini con la Siria, freddato con un colpo alla testa in mezzo alla strada. Nessuno ha ancora rivendicato l’omicidio, ma sembra una vera e propria esecuzione.
Jerf era un giornalista siriano di 38 anni, noto oppositore del regime di Assad e autore di alcuni – rari – reportage sull’Isis. Faceva parte del collettivo di giornalisti “Raqqa viene massacrata in silenzio”: reporter che hanno fatto fronte comune per cercare di raccontare quei luoghi nel Nord della Siria caduti in mano alle milizie jihadiste. Dal 2014, dall’autoproclamazione dello Stato Islamico, sono già stati ammazzati 4 giornalisti del Committee to Protect Journalist, organizzazione indipendente con base a New York che difende la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti in tutto il mondo. Tutti e quattro sono stati uccisi in Turchia. “Naji Jerf era una delle ultime fonti rimaste di informazione affidabile e indipendente”, hanno commentato i colleghi. Proprio in questi giorni stava per raggiungere Parigi dopo aver ottenuto il visto di rifugiato anche per tutta sua famiglia: da lì avrebbe potuto diffondere informazioni importanti su Daesh e sulle collusioni con quel sistema. Aveva appena terminato un film sulle azioni terroristiche dell’Isis in Siria, sulle atrocità commesse ad Aleppo, 120 chilometri da Gaziantep.
E c’è da riflettere su quanto sia oscuro – e da oggi, ancor più oscuro – quel confine tra la Siria – in parte in mano all’Isis -, e la Turchia – sempre più vicina all’Unione Europea -. Quel territorio ambiguo da cui sono passati molti dei foreign fighter provenienti dall’Europa, tra cui la stessa Giulia Sergio Fatima, la prima foreign fighter italiana – arrivata in Siria con un volo Milano-Istanbul-Gazientep. Intercettata dal pm di Milano Romanelli in alcune conversazioni via Skype con la famiglia, da Raqqa diceva di essere pronta a farsi saltare in aria qualora Al Baghdadi lo chiedesse. Gaziantep è quella città nella quale gli uomini dello Stato Islamico hanno potuto festeggiare le stragi di Parigi sfrecciando in auto con le bandiere nere dell’Isis senza essere fermati dalla polizia.
Quel territorio di confine va raccontato, va illuminato. Per questo bisogna fare fronte comune, fare rete tra giornalisti, al di là delle testate, al di là della committenza, con la convinzione di voler raccontare una realtà che in molti vogliono oscurare.