“Giuro che se e quando la legge bavaglio sarà approvata mi impegnerò a fare prevalere sempre e comunque il dovere di informare e il diritto di essere informati… Giuro che attraverso tv, radio, giornali, siti e blog e con ogni altro mezzo possibile darò qualsiasi notizia che rivesta i requisiti del pubblico interesse e della rilevanza sociale come prevedono le sentenze europee, i valori costituzionali e la legge istitutiva dell’ordine dei giornalisti… Giuro che utilizzerò tutti gli strumenti possibili per disattivare questa norma ingiusta ed incivile che si propone non solo di colpire giornalisti ed editori ma di oscurare l’opinione pubblica e di rendere impuniti corrotti e corruttori…” Questo “giuramento di Ippocrate” dei giornalisti l’associazione Articolo21 lo ha scritto e recitato il 23 maggio 2010 a piazza Montecitorio nel corso di un sit-in contro il ddl Alfano sulle intercettazioni.
A distanza di cinque anni quel giuramento conserva, purtroppo, tutta la sua validità e attualità alla luce della nuova legge sulla diffamazione approvata nel giugno di quest’anno alla Camera (a breve arriverà al Senato) e che, come ha giustamente commentato il giurista Stefano Rodotà mette seriamente a rischio il diritto costituzionale ad informare ed essere informati, e per questa ragione è pericolosa, “non solo per la libertà d’informazione ma per la democrazia stessa”.
Vediamo, quantomeno per titoli quali sono le nostre preoccupazioni sui tentativi di bavaglio all’informazione:
Delega al governo sulle intercettazioni: demandare all’Esecutivo in questa materia è sbagliato e pericoloso. Significa svuotare il Parlamento del suo ruolo e impedire una discussione pubblica e trasparente che si trasferirebbe nelle stanze inintelligibili delle commissioni interministeriali. Come si comporterebbe il governo qualora dovesse decidere sulla diffusione di intercettazioni che riguardassero qualcuno dei suoi componenti?
Intercettazioni e privacy: chiedere una stretta sulle intercettazioni telefoniche in nome della tutela della privacy è un espediente improprio. Le leggi per preservare la riservatezza dei cittadini esistono già, si tratta solo di applicarle. Al contrario, se fosse passato qualche anno fa il principio della limitazione dell’uso delle intercettazioni probabilmente l’opinione pubblica non conoscerebbe alcunché dei più grandi scandali finanziari e politici degli ultimi anni.
Querele temerarie: è uno degli strumenti preferiti dai “potenti” di turno per scoraggiare chi fa informazione dal proseguire lungo la sua strada. Si chiede un risarcimento milionario costringendo così un cronista, magari anche precario e in un luogo ad alto tasso di criminalità, ad occuparsi di altro. Praticamente una intimidazione preventiva che genera inevitabili forme di autocensura. “Chi me lo fa fare – si domanderà il giornalista “di frontiera” – di indagare sugli intrecci tra politica, economia e criminalità nella mia realtà se oltre ai rischi per la mia incolumità posso incorrere in richieste di indennizzo insostenibili? Per questo una legge congrua sulla diffamazione dovrebbe prevedere, come succede nella gran parte delle democrazie occidentali, che il querelante, al momento dell’esposto sia obbligato a versare una cauzione cospicua che poi perderebbe, in favore del querelato, in caso di perdita della causa.
Un mese fa insieme alla Federazione Nazionale della Stampa, all’associazione Stampa Romana e al Comitato #nobavaglio ci siamo ritrovati davanti ai cancelli del Tribunale di Roma per esprimere solidarietà ai 96 cronisti denunciati per aver raccontato le lordure di Mafia capitale, per aver fornito ai lettori notizie di interesse pubblico sul malaffare che ha infangato Roma e l’Italia. E oltre al nostro “Giuramento” abbiamo rilanciato l’appello pubblicato sul sito no bavaglio.org e sottoscritto da decine di giornalisti e associazioni. “No bavaglio 3” a rappresentare una battaglia che continua indipendentemente dal colore del governo di turno.
Perché imbavagliare l’informazione non significa solo impedire a un giornalista di adempiere al suo dovere professionale ma inibisce il diritto dei cittadini di conoscere la verità sulle tante zone d’ombra che annebbiano la nostra quotidianità.