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Licio Gelli: il pifferaio magico che voleva farsi incoronare burattinaio

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Dello scandalo della tentacolare loggia massonica deviata P2 aveva previsto già tutto, nel 1973, uno scrittore australiano, Morris West, che era vissuto in Italia e che durante la Seconda guerra mondiale aveva prestato la sua opera nell’OSS, il servizio segreto americano, antesignano della CIA. Il suo libro “La Salamandra” (edito nel ’74 da Mondadori) era in parte preveggente, in parte basato su informazioni di prima mano, grazie alle sue amicizie con ambienti dei servizi segreti italiani e non solo. C’erano, sotto pseudonimi, anche Licio Gelli e Giovanni Agnelli, l’uno contro l’altro, alti ufficiali felloni, golpisti, e militari con il senso dell’onore e dell’attaccamento alla democrazia repubblicana, affaristi, editori, politici e giornalisti d’inchiesta. Era già tutto previsto, insomma? Non proprio, ma certo Morris West deve aver avuto delle particolari doti divinatorie in questo come in altri suoi libri, il più celebre dei quali era stato scritto nel 1963 (edito da Rizzoli nel ’64) con il titolo “Nei panni di Pietro”, da cui fu tratto un film, “L’uomo venuto dal Kremlino” del 1968, con Anthony Quinn nei panni del primo Papa russo, in piena guerra fredda, che poi si dimetterà. Una storia che diventerà realtà nel 1978 con Papa Woytila e, a seguire, con Papa Ratzinger.

I primi anni Settanta sono quelli determinanti per comprendere l’evoluzione degli intrecci tragici e perniciosi tra massoneria segreta e gli apparati deviati dello stato, ambienti industriali e finanziari, la banca del Vaticano (lo IOR), alti ufficiali delle tre forze armate, di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, mondo dell’editoria, magistratura e politici di tutti i partiti (dall’estrema destra bombarola, a quella parlamentarista del MSI, alla DC, al PSI, al PSDI, al PRI, al PLI, fino ad alcuni esponenti di rilievo dello stesso Partico comunista italiano). Sono anche gli anni dei tentativi ripetuti di golpe, degli attacchi terroristici al “cuore dello Stato”, delle stragi fasciste, degli omicidi da parte del brigatismo rosso, degli intrecci perversi tra mafia, camorra e criminalità organizzata, tipo la Banda della Magliana con settori eversivi. Il culmine fu il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel ’78: qui gli intrecci furono di varia natura con agenti dei servizi segreti americani, esponenti della Banda della Magliana e uomini della P2 in qualità di esperti antisequestro. Da lì partirono le prove generali per rendere operativo il Piano di Rinascita Democratica gelliano.

Gelli era solo un “pifferaio magico” che introduceva personaggi, carpiva segreti, ricordava ogni minimo particolare a memoria, fungeva da “Ufficiale di collegamento” e non certo da “Burattinaio”, come avrebbe voluto, millantando un potere che in realtà era in mano ad altri: un ruolo che aveva già ricoperto durante la seconda guerra mondiale tra le milizie fasciste e quelle naziste in Italia e in Montenegro.

Di Gelli, ragioniere aretino, fascista e Maestro Venerabile della Loggia Propaganda 2, si comincia a scrivere tra il 1975 e il 1976. I primi documenti riservati vengono fatti uscire da alcuni massoni “di sinistra”, emarginati dall’allora Gran Maestro Lino Salvini, potente medico fiorentino, esponente del Partito Socialista e fautore della scalata di Gelli dentro il Grande Oriente d’Italia. A quel tempo eravamo solo in due a scrivere su alcuni settimanali di quello che stava avvenendo dentro la famiglia massonica italiana laica e progressista, ormai snaturata dall’ingresso di molti esponenti della destra golpista e tradizionalista cattolica, provenienti dalla “vaticana” Gran Loggia di Piazza del Gesù, l’altra “piccola famiglia” non riconosciuta dai massoni inglesi e americani, proprio perché legata agli ambienti vaticani e anti-laica.

Gelli era descritto come un uomo dalla memoria alla “Pico della Mirandola”, un genio nel millantare credito, un affabulatore, un maniaco dell’organizzazione e del ritorno allo stato corporativo e anticostituzionale. Sul suo passato c’erano molte ombre, come sul suo presente. E lui giocava a far circolare versioni spesso contrastanti tra loro, purché il suo nome girasse negli ambienti dei “poteri forti” e si accrescesse la sua fama, come per le nomine di vertici militari e magistratura, quando si formavano le cosiddette “terne” di nomi.

La loggia P2 agli inizi non era tutta infarcita di golpisti, reazionari, eversori e affaristi, ma anche di gente democratica e onesta. Soprattutto al vertice della loggia, insieme a Gelli c’era anche un generale dal passato di comandante di una formazione partigiana “bianca” operante nell’appennino tosco-emiliano. Anche lui era di origine aretina. Il suo nome era Siro Rosseti. Fu lui a custodire i primi elenchi di centinaia di “fratelli coperti”, redatti con una Olivetti su fogli di carta velina. Grazie a lui e ad altri massoni, che avevano partecipato alla Resistenza, cominciammo a conoscere cosa bollisse in pentola dentro alla P2 e a scoprire il personaggio Gelli. Rosseti era anche riuscito a far mettere sotto processo massonico Gelli, a farlo decadere da Maestro Venerabile e a far sciogliere la P2. Che però rinacque sotto altre spoglie, ancora più potente ed eversiva. Ed ancora operativa.

Per anni, fino al Marzo del 1981, quando i giudici di Milano, Colombo e Turone, non fecero irruzione a Villa Wanda ad Arezzo e negli uffici della Gio.Le, scoprendo gli elenchi nominativi e altri documenti, gli organi di polizia, la magistratura e i politici dell’opposizione di sinistra snobbarono le nostre inchieste su Giorni/Vie nuove, Panorama, L’Espresso Epoca, quando non ostacolarono la loro pubblicazione. Alcuni di noi, definiti “pistaroli” perché seguivamo le piste più intricate o anche “dietrologisti”, furono messi sotto stretto controllo da parte dei servizi segreti, come risultò alla fine degli anni Novanta da alcuni documenti riservati venuti alla luce grazie ad un’inchiesta dei giudici impegnati sul versante delle stragi “di stato”. Per tutti, la carriera professionale si fece ardua e piena di ostacoli. Il potere di Gelli e dei suoi confratelli era davvero enorme e vasto, ed è durato fino ai nostri giorni, purtroppo. Personaggi noti e meno noti alle cronache politiche, giudiziarie e affaristiche sono tuttora “in servizio permanente effettivo”.

Oltre al “preveggente e profetico” Morris West occorre ricordare i pochi giornalisti coraggiosi che tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta seguirono le piste della P2, sfidando tutto e tutti, senza difese da parte degli organi sindacali e professionali, spesso perseguitati da querele per diffamazione in sede penale e in sede civile: Roberto Fabiani, a Panorama e all’Espresso, Sandra Bonsanti, di Epoca e la Repubblica, Maurizio de Luca, di Panorama e il Mondo, Giancarlo Mazzini dell’Europeo, Fabio Isman e Rita di Giovacchino del Messaggero, Lucia Annunziata del Manifesto e Edek Osser del TG2/RAI. Grazie a questa sparuta pattuglia, una parte della stampa italiana, non assoggettata al potere censorio della P2, riuscì a tenere alta la bandiera della libera informazione. E opera meritoria per aver scoperchiato in maniera giudiziaria lo scandalo si deve ai due magistrati Colombo e Turone, la cui inchiesta servì anche da avvio per formare la Commissione parlamentare sulla P2, presieduta da quell’esempio di onestà e attaccamento agli ideali della Costituzione, che è Tina Anselmi, democristiana di sinistra e già partigiana.

Comunque l’autoproclamatosi “Burattinaio”, Gelli, fu smascherato dalla giustizia, proprio quando la massoneria internazionale, riunita attorno alla potente Trilaterale, decise di far pulizia all’interno delle varie logge nazionali, infarcite di anticomunisti viscerali, per avviare la distensione economica e culturale con i paesi dell’Est. Gelli fu abbandonato a se stesso, i tanti segreti e dossier riservati di cui si vantava non sono mai stati scoperti né probabilmente lo saranno in futuro, perché non era lui il vero “Burattinaio”. In giro, purtroppo, ce ne sono ancora altri operativi, legati agli stessi ambienti frequentati un tempo dal Gelli, a cavallo tra circoli finanziari laici e settori della Curia romana vaticana. Un “crocevia” non più “nero”, ma lo stesso potente, ramificato e inquinante.


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