La Spagna, il bipolarismo, la Troika e la governabilità

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È raro assistere al crollo di quattro miti fasulli in una volta sola ma è esattamente ciò che è successo in Spagna domenica sera. Innanzitutto, è crollata la Spagna stessa, per anni considerata un faro e un modello, sia sul piano politico sia dal punto di vista economico, e adesso costretta a fare i conti con l’incubo di un’“italianizzazione” delle proprie istituzioni, fra maggioranze litigiose ed eterogenee, accordi difficili da realizzare, compromessi al ribasso e caravanserragli utili al massimo a difendere lo “status quo” ma non certo ad avviare quel processo di cambiamento e di riforme sociali di cui il paese avrebbe bisogno. In secondo luogo, è crollato il mito drammaticamente sbagliato del bipolarismo, che in Spagna veniva cristallizzato addirittura da un bipartitismo di fatto che è quanto di più dannoso, inutile e pericoloso possa verificarsi in una democrazia. In terzo luogo, sono crollati i dogmi e i dettami della Troika, col loro carico di sacrifici e austerità a senso unico, ingiustizie continue a danno dei più deboli, massacri sociali a volontà, sfratti a tutta andata, l’incremento esponenziale di poveri e disoccupati e un’economia che è si tornata a correre ma lasciando indietro le persone in difficoltà, confinando i giovani nella propria solitudine e mancanza di prospettive per il futuro e condannando l’intero paese a un lento e inesorabile declino. Infine, è crollato il mito sciocco ed infantile della governabilità a tutti i costi, tanto caro a tutti coloro che hanno dei seri problemi con le regole e, forse, col concetto stesso di democrazia e vorrebbero gestire il potere all’infinito, a scapito della volontà popolare, delle esigenze dei cittadini, delle loro scelte e persino dei numeri presenti in Parlamento.

Quattro luoghi comuni sono crollati in una sola notte e questa è senz’altro una buona notizia, specie per chi non ha mai creduto che una nazione possa vivere senza confronto, senza conflitto sociale fra opinioni e visioni del mondo differenti e senza quella fisiologica alternanza che sola può dare un senso all’esistenza di forze politiche coese e sensate, senza cedimenti demagogici né esagerazioni populiste e palesemente inattuabili.

Il guaio è che bisogna intendersi bene su cosa si intenda oggi per populismo. Perché se populismo significa rispettare la volontà dei cittadini, mantener fede alle promesse fatte, non svendere la dignità e le ricchezze della propria gente a imprecisati organismi finanziari europei privi di alcun controllo democratico e rivendicare un europeismo maturo e alternativo all’anti-europeismo che vediamo attualmente all’opera, se populismo significa questo, beh no, ci teniamo ad informare i nostri colleghi che inarcano il sopracciglio e puntano costantemente il dito che questo non è populismo ma amore e rispetto per la democrazia e i suoi valori liberali, improntato ai princìpi del miglior pensiero politico che sia stato partorito nel Ventesimo secolo, ossia quello di Altiero Spinelli sull’isola di Ventotene.

E non costituisce certo un atto di responsabilità questo continuo gridare: “Al lupo, al lupo!” di fronte all’ovvia avanzata delle forze che contestano questo sistema marcio alle fondamenta, per il semplice motivo che gli autori di questi alti lai in difesa dell’unità della nazione sono gli stessi che hanno contribuito a ridurla in macerie, depredandola, saccheggiandola e impoverendola: così in Italia, così in Grecia, così nella Spagna che si è appena recata alle urne e il cui futuro è appeso alle scelte di re Felipe VI di Borbone, figlio di quel Juan Carlos che guidò la transizione dal franchismo alla democrazia parlamentare. Tuttavia, il domani degli spagnoli dipende anche dalla saggezza, dall’intelligenza e dal senso dello Stato e delle istituzioni che dimostreranno i partiti della sinistra, a cominciare dal sopravvissuto PSOE del giovane leader Pedro Sánchez. Se i socialisti dovessero commettere l’errore di accettare la logica del governissimo con i Popolari del pessimo Rajoy, infatti, oltre a condannarsi all’estinzione, il che, a quel punto, sarebbe auspicabile, causerebbero con ogni probabilità una doppia secessione: da una parte i baschi e dall’altra i catalani, entrambi stanchi di essere discriminati e costantemente umiliati e scherniti da un filo-franchista incapace di governare e di interrogarsi sulla natura e sulle conseguenze dei suoi fallimenti.

Se dovessero provare a formare un esecutivo di tutti contro Rajoy, escludendo però la sinistra di Izquierda Unida di Alberto Garzón e spalancando le braccia a quel prodotto del marketing liberista che è Ciudadanos, cui le urne hanno restituito la propria dimensione di bluff senz’anima, semplicemente si esporrebbero a un naufragio di dimensioni epocali, in quanto Ciudadanos è stato costruito a tavolino dai poteri forti, dal mondo economico, bancario e della grande industria, col preciso scopo di restituire un volto presentabile alla destra e di contrastare l’ascesa di Podemos e le rivendicazioni degli “indignados” riunitisi nel maggio del 2011 a Puerta del Sol (Madrid), dunque mai potrebbe coesistere con la forza politica che nelle intenzioni dei suoi fautori avrebbe dovuto svuotare e distruggere.

Se invece il giovane Pedro Sánchez decidesse di rimettersi giacca e cravatta, di accantonare il giovanilismo insulso della camicia bianca e di mandare in soffitta il blairismo che ancora alligna pesantemente anche nella sinistra sistemica spagnola, se dovesse far questo, promuovendo e guidando in prima persona una maggioranza composta da PSOE, Podemos, Izquierda Unida, baschi e catalani, la Spagna potrebbe divenire il laboratorio di una nuova Europa spinelliana, in aperto contrasto con la barbarie liberista degli ultimi trent’anni, con la finta sinistra dei Blair, degli Schröder e dei Gonzáles, con la vera destra che sta avanzando in Francia e nel nord Europa e con il pateracchio dei governi senza idee né programmi ben definiti tanto caro a quei personaggi che vivono rinchiusi nei propri pregiudizi e non riescono a fare i conti con la forza irrefrenabile della realtà. Una realtà che vede le piazze dei cosiddetti partiti anti-sistema invase di giovani e persone che non ne possono più di corruzione, sprechi, scandali e autentici insulti alla dignità della politica e al suo ruolo di guida sociale e di costruzione del futuro. Una realtà che ci dice chiaramente che le ricette seguite finora non solo sono nemiche dell’Europa, in quanto sono nemiche dei suoi ceti più fragili, ma sono anche le migliori alleate di quelle compagini davvero anti-europeiste, razziste e xenofobe che rischiano di farci piombare in un nuovo medioevo. Una realtà che non si può affrontare negandola e andando avanti come se niente fosse, ignorando il disagio, il malcontento e la voglia di riscatto di chi dalle dottrine del libero mercato senza regole è stato truffato, ingannato e ridotto talvolta in miseria. Una realtà che è alla base di tante rabbie sotterranee ed esplosive che non si possono certo combattere a colpi di leggi elettorali ancora più anti-democratiche e illiberali di quelle che abbiamo visto all’opera negli ultimi tempi, per il semplice motivo che, come hanno imparato a loro spese gli americani in Vietnam, si può sconfiggere un governo ma non un intero popolo, specie se è determinato a dire basta e a porre rimedio alle proprie sofferenze. Una realtà, infine, che ci consegna un sud Europa dilaniato dalla crisi ma assai più serio, solidale e sensato di quel ricco nord in cui dilagano formazioni nemiche dei valori dell’Europa; il che, al di là dei loro limiti, non si può certo dire di Syriza, di Podemos, del Movimento 5 Stelle e delle nascenti compagini della sinistra italiana.

Saprà Pedro Sánchez rispondere al bisogno di freschezza, diversità, pulizia, limpidezza e progresso che il popolo spagnolo ha rivendicato a gran voce nelle urne? Saprà Felipe VI assecondare questa rabbia e convogliarla in una soluzione all’insegna di uno sviluppo sostenibile o commetterà la follia di provare a reprimerla e soffocarla, imprigionandola nella Cayenna delle larghe intese, ovunque fallimentari e ampiamente fallite? E saprà Pablo Iglesias accantonare un po’ della sua irruenza mediatica in nome di un po’ di sana accortezza e di sano realismo politico?

Dalle risposte che verranno date a questi interrogativi passa il futuro della Spagna e dell’Europa. Ci auguriamo che tutti i protagonisti di questa vicenda siano statisti nel senso degasperiano del termine e non semplicemente politicanti ambiziosi o, peggio ancora, ciarlatani opportunisti interessati unicamente a salvaguardare la propria effimera poltrona.


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