Negli ultimi decenni l’enfasi attribuita alla tematica della sicurezza, in occasione del prodursi di tragici fatti di cronaca, ha innescato inevitabilmente un corto circuito nella pubblica opinione, scatenando un surplus di aspettative sulla capacità delle istituzioni statuali e sovranazionali di risolvere le drammatiche questioni aperte tanto a livello locale che a livello planetario.
Ad aggravare un meccanismo già perverso, è arrivata la nuova minaccia del terrorismo internazionale di matrice islamica, a partire dai terribili attentati del settembre 2001, con il tracollo delle Torri Gemelle a New York prima e ora, con la nuova minaccia dell’IS, manifestatasi nel cuore dell’estate 2014 e poi diffusasi nel mondo con la complicità inconsapevole (?) della rete.
Ad aggravare la percezione della sicurezza oggi più che mai è la variabile economica che influenza in modo negativo la vita quotidiana sotto diversi punti di vista. In un contesto internazionale e interno così marcato dalla precarietà, l’elemento decisivo nell’orientare politiche di inclusione e di cittadinanza rischia purtroppo di diventare l’umore viscerale della pubblica opinione: un “moloch” indistinto e, proprio per questo, spinto dalle pressioni esterne a repentini cambiamenti.
Mutamenti alimentati anche dalla comunicazione moderna, oggi più attenta al gossip che alla notizia; più intenta a soffiare sul fuoco dell’intolleranza che a raccontare le buone notizie che arrivano dal fronte del volontariato, dell’associazionismo che si spendono in favore degli ultimi, dei reietti dalla società moderna.
Allora diventa fondamentale “illuminare le periferie del mondo”; le tante e troppo periferie non solo del nostro Paese, ma anche dell’Europa e del resto del mondo, oggi messo a dura prova dalla recessione economica, dalle tante disuguaglianze e schiavitù e dal terrorismo di marca integralista.
Occorre “illuminare le periferie” per offrire a ciascun cittadino, anzi a ciascuna persona che si trova ad abitare un determinato territorio in un determinato periodo, la possibilità di vedere riconosciuti i propri diritti in quanto appartenente al genere umano.
Oggi “illuminare le periferie” significa mettere al centro del dibattito i diritti di ogni essere umano, occupandosi delle categorie dell’esclusione e della marginalità, per recuperare la dimensione culturale di una promozione umana che non tagli fuori nessuno a priori dalle conquiste e dal benessere raggiunto, ma riapparecchi la tavola per tutti, nel nome del bene comune.
Purtroppo la storia, anche recente, del nostro Paese ci racconta la fatica di mettere al centro la persona e la comunità nel suo naturale progredire, così come previsto dalla nostra Costituzione.
Una Carta Costituzionale la nostra davvero unica, nonostante le tante critiche e anche i propositi più recenti di riscrittura, il cui grande afflato progettuale risulta essere ancora intatto dopo oltre sessant’anni, proprio leggendone in controluce gli intrecci tra la dimensione individuale e quella collettiva che sapientemente i Padri costituenti vollero come strumento per far uscire l’Italia dalla doppia tragedia della dittatura e della guerra mondiale.
Oggi, se guardiamo al nostro Paese, dopo la stagione del terrorismo interno che tante vittime e dolori produsse per oltre tre decenni del secolo scorso, abbiamo a che fare con una sola ed unica vera emergenza: la presenza di una criminalità mafiosa organizzata e diffusa nel nostro territorio, capace di porsi come stato all’interno dello Stato.
Però possiamo veramente definire emergenza quello che è un dato strutturale da oltre centocinquanta anni?
La mafia, nella congerie delle sue diverse denominazioni, è un fenomeno ben presente nel nostro Paese ed è stata oggetto di silenzi imbarazzanti e di attenzioni altalenanti da parte delle istituzioni, pronte a “mostrare i muscoli” solo in reazione ai tanti omicidi eccellenti che hanno insanguinato la nostra Penisola, culminati nel biennio di sangue compreso tra il 1992 e il 1993, prima con l’uccisione di Falcone e Borsellino e poi con le stragi di Firenze, Roma e Milano.
Sì, è proprio così, la vera emergenza non è un’emergenza, ma la presenza di un convitato di pietra nella storia d’Italia: l’autentico pericolo alla sicurezza personale e collettiva, proprio per la capacità che hanno di distruggere territori e vite, per la spregiudicata ricerca del massimo potere e la costante accumulazione di capitale, sottratto allo sviluppo della società, sono proprio le mafie.
Negli ultimi decenni l’aggressione della criminalità organizzata allo Stato, gli interessi legati ai traffici illeciti, il mancato rispetto dei diritti umani sono maturati all’interno di una cultura della illegalità sempre più strisciante, funzionale al proliferare dell’insicurezza, anche se va dato atto alla coraggiosa reazione della società civile più responsabile e sensibile, a partire dalla felice esperienza di Libera, il network di associazioni antimafia fondato da don Luigi Ciotti.
Oggi “illuminare le periferie” significa quindi impegnarsi perché la lotta alle mafie diventi uno degli obiettivi fondamentali per la convivenza civile nel nostro paese.
Oggi “illuminare le periferie” significa aiutare la pubblica opinione a comprendere che i tanti veleni di quest’ultima stagione dell’antimafia, molti dei quali rivolti ingenerosamente e strumentalmente contro Libera, fanno parte di una strategia perversa e consapevole che punta a distruggere quanto di buono è stato fatto in questi venti anni.
Oggi “illuminare le periferie” significa per Libera Informazione, che riprende il suo cammino proprio in occasione del varo di quest’ambizioso progetto del sito dei siti, voluto anche da Santo Della Volpe e sicuramente auspicato da Roberto Morrione, raccontare le tante belle notizie che il fronte dell’antimafia sociale, civile e responsabile produce ogni giorno, nella quotidiana battaglia di contrasto alle mafie e alla corruzione.
Ecco perché “illuminare le periferie” entra da oggi nel lessico quotidiano di Libera Informazione.