“Qui ci sono le guardie e i ladri, bianco e nero, abitare in mezzo non è possibile. Può succedere che tu non te ne accorga, ma sei già o sporco di bianco o sporco di nero.” E’ la quarta di copertina di “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavalli edito da Rizzoli. Un “romanzo civile” che a tratti ricorda “passione di Michele” di Giuseppe Fava. La narrazione, il ritmo delle parole, la scrittura elegante e mai banale sono solo alcuni dei punti di contatto. Poi sì, il nome del protagonista è uguale per entrambi ma la similitudine esiste nel ricordo di chi scrive e che a tratti si manifesta nelle pagine del libro. Michele Landa è il nome del protagonista. Un nome, che potrebbe essere anche un altro, se all’origine della storia narrata con il solito piglio da cantastorie da Giulio Cavalli, non vi fosse la realtà. Quella di tutti i giorni e quella vissuta da una persona perbene che vuole godersi la pensione, la famiglia e l’orto di casa, a Mondragone. Quella vita che ti toglie gli amici, che cambiano o volano via, e che ti regala la dolcezza di una compagna e di una famiglia normale.
Da metà libro in poi le pagine tengono attaccato il lettore senza lasciarsi mollare mai. Cresce l’attenzione, i nomi iniziano ad avere un volto e sale anche il magone su per la pancia. E’ vivo e te lo porti dentro. Una brutta storia che regala bellezza e scelte che sono scelte. Cavalli racconta di un paese indifeso, dove perfino la Stato ha i colori ingrigiti di Mondragone, ricordandoci che le urla e i grandi gesti non fanno la rivoluzione ma che basta poco, pochissimo, interessandoci di quello che avviene anche fuori del giardino di casa per cambiare una piccola città o un grande paese.
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