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Il Giubileo vissuto da preti e suore disabili: aiutare i deboli è misericordia

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Parlano don Francesco Cristofaro, nato con una paraparesi spastica; suor Vittorina, sorda e suor Rosa, non vedente. “Non bisogna vergognarsi di chiedere all’altro una mano. Quando si è deboli, fragili, si ha sempre bisogno. Questo è il messaggio del vangelo”

ROMA – Come le persone disabili credenti – in particolare, le religiose, i religiosi e i sacerdoti – saranno o sono già protagoniste del Giubileo della misericordia? Abbiamo raccolto la testimonianza di don Francesco Cristofaro, classe ’79, parroco a Simeri Crichi (Catanzaro) e disabile: è nato con una paraparesi spastica: suor Rosa, non vedente, che vive a Tortona (in provincia di Alessandria), nel monastero delle Sacramentine non vedenti e suor Vittorina, sorda, 54enne dell’ordine delle maestre di santa Dorotea figlie dei sacri cuori.

Cos’è per te, parroco con disabilità, il Giubileo della misericordia?
Quando penso alla parola misericordia, mi vengono alla mente una serie di altre parole ad essa collegate: attenzione (nel senso di avere a cuore una cosa o una persona), vita, compassione, speranza, futuro, bontà e il tutto mi porta a dire: ‘Non è la fine!’. Quando uno sta per morire, la misericordia di Dio è quella voce che ti invita: ‘Accoglimi nel tuo cuore e per te non sarà la morte ma l’inizio di una nuova esistenza’. Quando pensi di non essere di aiuto a nessuno e di non servire a niente, la misericordia di Dio è quella voce che ti ricorda: ‘Anche se tu non fossi importante e non servissi a nessun uomo della terra, sappi che tu sei importante per me e ti porto nel palmo della mia mano”. Quando pensi che il tuo peccato sia così grande da non poter essere perdonato, la misericordia di Dio è quella voce che ti sussurra: ‘Io ti perdono se tu lo vuoi e se ritorni a me con cuore pentito e sincero’. Il sacerdote deve essere questo strumento di misericordia perché si faccia voce di Cristo per annunciare a tutti la lieta novella, si faccia gambe di Cristo per raggiungere i cuori, si faccia mani di Cristo per sfamare e perdonare le anime. Io ho sperimentato nella mia vita la misericordia del Signore, perché dalla morte spirituale dovuta alla mia disabilità che mi faceva sentire estraneo, inutile, non adatto a niente, sono risorto a nuova vita. Questo mi ha reso più forte e mi ha aiutato a comprendere quanti vivono in queste situazioni. Per me il Giubileo della misericordia è una grande grazia perché ci dona la possibilità di sperimentare quotidianamente l’amore del Signore, da esso lasciarsi trasformare e, soprattutto, possiamo iniettare nel cuore dell’uomo una bella dose di positività, di gioia, di allegria, di serenità, di speranza. Del resto Papa Francesco ce lo ricorda tutti i giorni: essere uomini della gioia e non statue da museo.

Nella tua vita sacerdotale in che modo e in quali gesti senti di essere un missionario della misericordia?
Per ogni sacerdote la prima grande opera di misericordia è dare a tutti la grazie e la verità di Dio. Non abbiamo neanche idea quanto bene possa fare l’annuncio e la spiegazione del vangelo. Può aprire un mondo tutto nuovo. Quanto bene può fare convincere l’altro a fare un serio cammino di conversione vivendo i sacramenti. Il sacerdote è un pastore e il pastore dona il cuore per le sue pecore (e questo il significato della parola misericordia). Poi il vangelo si traduce sempre in gesti concreti. Ti porta a camminare con l’uomo, al suo fianco, a tendergli la mano, ad amarlo concretamente. La misericordia si fa visita all’ammalato che da tempo non esce di casa, che vive in campagne sperdute. Per me il gesto più bello di misericordia è quello di saper parlare da persona a persona, da cuore a cuore. Una cosa è parlare dall’ambone, altra cosa è scendere dal pulpito è parlare al singolo. Impari a conoscerlo meglio. Io ho imparato a fare così ed è tutta un’altra storia.

Come riesci ad aiutare gli altri se tu per primo hai bisogno di aiuto?
Pur essendo disabile, riesco a camminare e a svolgere le attività pastorali. In alcune circostanze ho bisogno di aiuto ma, per citare letteralmente la frase di una grande santa, ‘cadendo e rialzandomi ho imparato a camminare’. Saper chiedere aiuto all’altro è segno di umiltà. Non bisogna vergognarsi di chiedere all’altro una mano. Molte volte, quando scendo le scale, sempre chiedo aiuto e sempre c’è un cireneo che si fa avanti. Io ho compreso questo: quando ci si sente forti, sani, belli, non si ha bisogno di nessuno. Ci si sente irraggiungibili, imbattibili. Quando invece si è deboli, fragili, si ha sempre bisogno dell’altro. Questo è il messaggio del vangelo, questo è il messaggio del Giubileo della Misericordia: Dio vuole camminare con noi, al nostro fianco. Allora, Signore, fatti nostro compagno di viaggio e rendici compagni e amici dei fratelli sofferenti. (Laura Badaracchi)

Da redattoresociale


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