Nel nostro amato Paese gli allarmi su quello che non va, o va piuttosto male, sono continui e a volte agghiaccianti. C’è chi insiste a segnalare che l’astensionismo è un fenomeno in ascesa, siamo oltre il quaranta per cento e il governo tende a fagocitare il parlamento. O ancora: la dirigenza politica è inadeguata sul piano interno come su quello internazionale. C’è un uomo solo al comando e il sistema tende a trasformarsi in un governo presidenziale, le oligarchie finanziarie e industriali a livello internazionale assumono un potere sempre maggiore rispetto a quello pubblico, dello Stato. Ma, almeno a prima vista, gli indicatori di salute della nostra democrazia non confermano un simile allarmismo.
Se si sommano tutte le elezioni a cui ci sottoponiamo (Comuni, Regioni, Stato, Unione Europea) si può dire che siamo tra i Paesi in cui si vota di più e possiamo aggiungere che il ruolo svolto dai contropoteri e dagli organi di garanzia, come-ad esempio- i tribunali e la corte costituzionale sono tendenzialmente indipendenti soprattutto a livello di magistratura e meno in quello delle autorità amministrative sparse nel Paese. Se guardiamo ai poteri del presidente del Consiglio notiamo che hanno dimensioni paragonabili a quelle del cancelliere tedesco e del primo ministro inglese di altri capi del potere esecutivo e ciò perché sono chiamati quotidianamente a collaborare con organi internazionali nelle sedi più diverse, dalle Nazioni Unite all’Unione Europea, dall’Organizzazione internazionale del Commercio al G7,G8,G20. Le due Camere, pur con contrasti che non cessano, vanno a porsi in un sistema con diverse investiture e una formula elettorale che premia la più forte investitura. Ma questo non significa che nel Bel Paese (come a volte ci chiamano) tutto vada bene.
La società italiana-dobbiamo dirlo-non ha mai avuto indici confortanti di coesione sociale e di spirito civile diffuso e, se ha dato prova di capacità di mobilitazione nelle tragiche emergenze, non ha mostrato costanti capacità di aggregazione nella vita di ogni giorno. I partiti politici ridotti ad organizzazioni legate alle scadenze elettorali e incapaci fuori di esse di vita autonoma, si sfaldano dentro e fuori del parlamento. Le le elites -quelle poche che abbiamo-si comportano come caste che ostacolano ogni ricambio e si perpetuano all’in finito. Le opposizioni a loro volta non cercano per sè un proprio “statuto” ma tentano soltanto di buttare sabbia nelle ruote di chi governa. La politica oscura sempre gli indirizzi di governo e di opposizione rendendo incomprensibili all’elettorato le linee di azione delle varie forze. E la macchina dello Stato è da troppo tempo senza una guida sicura. I cittadini a loro volta subiscono e si lamentano, pagando la tassa occulta che è legata alla cattiva gestione dei servizi pubblici. Sono questi i problemi di fondo dell’Italia, legati alla nostra tardiva industrializzazione che in oltre centocinquant’anni non ha permesso neppure di risolvere il problema fondamentale legato al divario plurisecolare tra il Nord e il Sud e a tutti gli altri che si sono succeduti nella tormentata e ardua trasformazione da paese agricolo dell’Ottocento a uno dei paesi industrializzati (e tra i primi sei o sette) dell’Occidente capitalistico.