Ben 29 votazioni a vuoto. Laura Boldrini e Piero Grasso stamattina hanno parlato fitto per qualche minuto nell’atrio di Montecitorio, il volto tirato per la preoccupazione. I presidenti della Camera e del Senato nei giorni scorsi avevano lanciato invano un appello alla maggioranza e alle opposizioni per eleggere i tre nuovi giudici costituzionali. In tarda mattinata Pino Pisicchio, ha detto basta «al tiro a segno come al luna park» e ha chiesto «una intesa corale». La trentesima votazione, in un primo tempo attesa per oggi, è slittata. Alla conferenza dei capigruppo del pomeriggio alla Camera la maggioranza la maggioranza ha proposto di riprendere a votare il 15 dicembre e una parte delle opposizioni ha chiesto di votare ad oltranza.
Deputati e senatori, riuniti in seduta comune a Montecitorio, non riescono ancora ad eleggere i tre nuovi giudici costituzionali. L’accordo tra la maggioranza e Forza Italia non ha retto. I “franchi tiratori” (sembra della sinistra del Pd, dei centristi della maggioranza e di Forza Italia) hanno “cecchinato” nei voti segreti Augusto Barbera (candidato dei democratici), Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) e Giovanni Pitruzzella (Scelta Civica). Dopo il ritiro di Pitruzzella è stata affondata anche la candidatura sostitutiva di Ida Angela Nicotra (Nuovo centrodestra). Il Movimento 5 stelle ha continuato a votare per Franco Modugno, il suo candidato. Anche ieri tutti i candidati sono rimasti ben lontani da quota di 571 voti, il quorum previsto dei 3/5 dei parlamentari. Solo Barbera si è avvicinato di più alla meta ottenendo 545 voti in uno scrutinio.
È scattato l’allarme rosso da parte di Grasso e della Boldrini. Da quasi un anno alla Consulta mancano 3 giudici su 15 e c’è il pericolo della “paralisi”: la Corte costituzionale rischia di non potersi più nemmeno riunire, in caso di malattie da influenza, per l’assenza del numero legale. La posta è alta. La Consulta, tra le altre importanti decisioni, dovrà anche pronunciarsi sull’Italicum, la nuova legge elettorale per le politiche elaborata dal governo Renzi, impugnata per incostituzionalità e fortemente criticata dalle opposizioni e dalle minoranze del Pd.
Si rischia, soprattutto, la paralisi del Parlamento, il cuore del sistema democratico. Eleggere una parte dei giudici è uno dei compiti costituzionali delle Camere e ulteriori “fumate nere” potrebbero innescare un pericoloso processo di discredito del Parlamento, per l’incapacità ad assolvere alle proprie funzioni, con imprevedibili conseguenze democratiche. Di qui la necessità di non perdere più tempo, cercando una soluzione positiva al prossimo appuntamento del 15 dicembre per eleggere i giudici.
La minoranza del Pd apre al dialogo con i cinquestelle. Roberto Speranza ha lanciato il sasso: «Basta picchiare la testa al muro sui giudici della Consulta. E’ il momento di riaprire un dialogo vero con tutte le forze politiche. Non funzionano i patti ad excludendum». Ettore Rosato ha detto sì «al dialogo con tutte le forze politiche ma teniamo ferma la nostra candidatura di Barbera». Il capogruppo del Pd alla Camera ha indicato il qualificato curriculum e profilo del costituzionalista.
I pentastellati sono pronti a discutere e pongono condizioni, Danilo Toninelli ha chiarito su come procedere: «Le condizioni non cambiano. I nomi devono essere buoni e terzi». Ha ribadito il no a Sisto e ha mezzo bocciato Barbera perché le votazioni Vnon lo hanno giudicato idoneo». Ha precisato: «Ora più che mai siamo indispensabili, verranno certamente a bussarci».
“Franchi tiratori” è una definizione di origine militare. Erano i volontari francesi, dei gruppi di partigiani, che attaccavano alle spalle le truppe tedesche nella guerra del 1870-1871. I “franchi tiratori” sono una vecchia conoscenza della Seconda e della Prima Repubblica.
Compaiono nei momenti di crisi e di transizione politica. Colpiscono nel segreto dell’urna e, molte volte, cambiano gli equilibri parlamentari e politici. Possono segnare la fine di una fase politica e l’inizio di una nuova. Sono deputati e senatori senza nome e volto: negli scrutini segreti non votano i candidati decisi dal loro partito, dalla loro maggioranza. Non rispettano la disciplina di partito e di maggioranza.
In genere il campo di battaglia è per la conquista del Quirinale. Nel 2013 Romano Prodi, l’inventore dell’Ulivo e del Pd, fu affondato nel segreto dell’urna per l’elezione a presidente della Repubblica da 101 “franchi tiratori”, in gran parte provenienti proprio dalle file dei democratici (sotto accusa fu l’ala dalemiana). Anche Franco Marini, ex segretario del Ppi, subì la stessa sorte.
Così Giorgio Napolitano in una situazione di emergenza fu confermato per un secondo mandato al Colle, un fatto senza precedenti.
I “franchi tiratori”, alle volte, hanno cambiato il corso della storia. Nel 1992 Arnaldo Forlani, segretario della Dc, fu “impallinato” dagli andreottiani e poi, mentre la mafia uccideva il magistrato Giovanni Falcone e la sua scorta, fu eletto capo dello Stato il democristiano Oscar Luigi Scalfaro.
Questi, mentre scoppiava Tangentopoli, non diede l’incarico di formare il governo al socialista Bettino Craxi, ma al suo vice Giuliano Amato. Nel 1971 subì la stessa sorte Amintore Fanfani, “cavallo di razza” della Dc, e al Quirinale andò Giovanni Leone. Nel 1948 fu eliminato Carlo Sforza, candidato da Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio e fondatore della Democrazia cristiana. I “franchi tiratori” della sinistra Dc “impallinarono” Sforza e fu eletto presidente della Repubblica Luigi Einaudi. De Gasperi, amareggiato, non nascose la preoccupazione per il futuro: adesso «non ci si potrà fidare nemmeno tra di noi».
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