Fine anno, tempo di analisi e di bilanci. L’analisi di ciò che è stato, il bilancio, spesso amaro, dei fatti susseguitisi nei dodici mesi che stiamo per lasciarci alle spalle. E ovviamente la speranza che il nuovo anno sia migliore o, quanto meno, che ci regali quel minimo di serenità e di buone notizie di cui abbiamo bisogno sia a livello personale che collettivo.
Ma che anno è stato il 2015? Per trovare una definizione adeguata, pochi giorni fa, ci è venuto incontro il Venerabile Maestro della P2, quel Licio Gelli, presente in tutti i misteri e le trame oscure che hanno sconvolto il nostro Paese dal dopoguerra in poi, il quale morendo ha ispirato ad alcuni osservatori una battuta malevola che però induce a riflettere: Gelli se ne va nel momento in cui mai come prima trionfano le sue idee.
In effetti è così, a meno che non si creda davvero alla balla secondo cui il nostro avrebbe fatto tutto da solo e la P2 fosse soltanto una simpatica congrega di burloni innamorati del potere e malati di opportunismo e carrierismo e non invece un tentativo orchestrato da fuori d’Italia di fare del nostro paese una colonia asservita ad interessi altrui.
Muore Gelli col suo carico di nefandezze, senza rivelare praticamente nulla degli aspetti più inquietanti di quella Strategia della tensione che fra il ’69 e l’84, dalla bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a quella sul Rapido 904, causò un numero impressionante di morti e di feriti ma soprattutto costituì un tentativo sistematico e feroce di destabilizzare il contesto politico, scardinando non solo i princìpi costituzionali e le conquiste raggiunte in materia di lavoro e diritti ma anche i sindacati e la libertà d’informazione, capisaldi di una democrazia compiuta, dunque nemici del fascismo che il Venerabile ha sempre rivendicato senza pentimenti.
Il gellismo come “autobiografia della Nazione”, come tratto costante di un Paese fragile e sotto controllo, come caratteristica di un quadro istituzionale mai davvero libero di svolgere la propria funzione in modo autonomo e come punto di contatto fra servizi segreti italiani e stranieri, in quella strategia chiamata “Stay-behind” di cui Andreotti nel ’90 svelò, di fatto, l’esistenza attraverso la rivelazione della presenza di Gladio.
Disarticolare la democrazia rappresentativa, distruggere la centralità del Parlamento, far trionfare i dogmi dell’egoismo e dell’individualismo sfrenato, rendere gli individui più fragili, più soli e in perenne competizione l’uno con l’altro, incentivare le guerre fra poveri e soffiare sul fuoco dei conflitti e delle sofferenze: questa è stata in concreto la P2 e nessuno può, purtroppo, dire che negli ultimi vent’anni, e nell’ultimo periodo in particolare, quelle idee non siano giunte all’apice.
Un anno violento e tragico, il 2015, sia sul piano internazionale, con la duplice tragedia che ha sconvolto Parigi e gli attentati in Tunisia (al Museo del Bardo e a Sousse) e in Mali, sia per quanto riguarda il nostro contesto nazionale, fra riforme sbagliate e dannose, autentiche guerriglie in Parlamento e un dibattito pubblico mai così triste e avvilente.
Un anno drammatico anche per la libertà d’informazione, fra la strage di “Charlie Hebdo”, che ha colpito al cuore una delle ragioni costitutive dell’Europa, mettendo a repentaglio i valori basilari del rispetto e della tolleranza reciproca, e le intimidazioni, gli arresti e talvolta anche gli assassini di decine di cronisti in ogni parte del mondo, a cominciare da quella Turchia che qualcuno vorrebbe addirittura far entrare all’interno dell’Unione Europea.
L’anno della Turchia, certo, con la duplice tornata elettorale che alla fine ha restaurato il dominio indiscusso del sultano Erdogan e sancito definitivamente le contraddizioni e l’inconsistenza di un’Europa che da una parte si dice pronta a intervenire contro il Daesh e dall’altra finanzia e accoglie con tutti gli onori un governo barbaro, probabilmente autore o comunque non certo addolorato per gli attentati di Suruç e di Ankara che sono costati la vita alla meglio gioventù curda in lotta contro i seguaci del Califfo e i suoi fiancheggiatori istituzionali; un esecutivo cui abbiamo promesso tre miliardi di euro in cambio del trattenimento sul proprio territorio dei disperati in fuga dalla guerra e dagli orrori del Califfato, senza riflettere attentamente né sull’inaffidabilità dimostrata da Erdogan in più occasioni (non ultima, l’abbattimento di un aereo russo in volo sui cieli della Siria) né sul fatto che concedendo risorse agli amici dei terroristi anziché a chi li combatte sul terreno, ossia i curdi, la mole di migranti crescerà a dismisura, fino a quando il governo di Ankara non ne potrà più e non riverserà sulle nostre coste decine, forse centinaia di migliaia di ultimi del mondo (quante altre lacrime di coccodrillo piangeremo quando osserveremo la foto del prossimo Aylan!).
E il paese più interessato da quest’esodo biblico sarà proprio quella povera ma gigantesca Grecia che sta accogliendo e assistendo i profughi pur essendo stata massacrata dalla tecnoburocrazia di Bruxelles, umiliata senza ritegno, condannata a un declino dal quale farà fatica a riprendersi e minata nella sua stessa dignità di nazione e di popolo che ha inventato il concetto di democrazia. Eppure Tsipras è ancora lì, con una maggioranza fragile e traballante ma ancora viva e aggrappata a una scommessa che, come diceva Berlinguer, “può riempire degnamente una vita”: battersi con tutte le forze per sconfiggere il destino e restituire un minimo di speranza a una nazione che molti, compresi i suoi stessi abitanti, consideravano ormai perduta.
È ancora vivo Tsipras e ciò che esso rappresenta ed è ancora vivo Podemos in Spagna, nonostante l’ostracismo della Troika e dei partner internazionali, a dispetto della tracotanza di Rajoy e del falso rinnovamento costruito a tavolino dai finanziatori di Ciudadanos e persino in contrasto con la miopia dimostrata sinora da un PSOE in bilico fra svolta a sinistra e perseveranza nell’aberrazione terzaviista che ha distrutto le forze progressiste in tutto il Vecchio Continente.
È stato, infine, l’anno del crac cinese, con lo scoppio di una bolla fondata sul nulla e su un progresso smodato e senza regole che non poteva durare ancora a lungo, e dell’esplosione di due fenomeni complementari e pericolosissimi come la Le Pen in Francia e Trump negli Stati Uniti. Probabilmente non vinceranno mai, non saranno mai presidenti dei rispettivi paesi ma il dramma è che le loro idee si stanno facendo largo e stanno finendo col condizionare tutti gli altri protagonisti del dibattito pubblico dei rispettivi stati, specie in Francia dove ormai abbiamo tre destre: una lepenista, una semi-gaullista e una cialtrona che si spaccia per sinistra ma non lo è più da tempo. Il che dimostra che il piduismo non è un fenomeno solo italiano, che ormai ha pervaso l’intera società occidentale e che ci mancano gli anticorpi morali, culturali e politici per contrastarlo. E a noi torna in mente proprio Berlinguer che, come tutti gli idealisti visionari, a suo tempo non fu capito e dopo è stato dimenticato, per il semplice motivo che chi aveva la facoltà di decidere voleva andare esattamente in questa direzione.