Sempre più spesso quando ci troviamo ad interagire con le persone, siano essi amici, familiari, parenti, conoscenti, colleghi, ci sentiamo dire: “Sono stressato”. E’ una parola molto comune e spesso utilizzata. Ma cos’è veramente lo stress?
In realtà, il termine stress non si identifica con l’accezione negativa così come la intendiamo comunemente. Infatti, H.Selye, il medico austriaco che per primo parlò di stress, lo definì come Sindrome Generale da Adattamento (SGA, 1974), ovvero “una risposta generale e aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente”, la cui finalità è quella di favorire un adattamento dell’organismo all’ambiente ed alle sue richieste.
Scopriamo quindi che non tutto lo stress è negativo, esiste si uno stress negativo, il “distress” (il prefisso dys- significa cattivo, che va male) che provoca una risposta negativa, il fallimento all’adattamento ambientale che, se prolungato nel tempo, provoca un progressivo logorio fino alla rottura delle difese psicofisiche della persona. In contrapposizione al termine con accezione negativa, c’è lo stress positivo o “eustress” (il prefisso eu- significa buono) ed indica la soddisfazione e la percezione personale di riuscita del compito (in termini di autostima, autorealizzazione, autoefficacia) e la conseguente energia positiva che ne deriva e che genera “apprendimento”.
Proprio così, l’individuo ha bisogno dell’eustress per apprendere, avere padronanza dell’ambiente e del compito stesso. Lo stress non è altro che affrontare una richiesta ambientale e/o lavorativa, ed imparare, credere prima di tutto in sé stessi e nelle proprie competenze, trovando le risorse personali e ambientali (aiuto esterno) che ci permettano di affrontare in maniera funzionale la nuova situazione.
Pensiamo ai bambini che hanno ancora tanto da apprendere al fine di raggiungere una propria autonomia nell’affrontare la vita, ebbene anche loro si trovano davanti a potenziali eventi stressanti: tutte le normali richieste dell’ambiente. Essi reagiscono in maniera più o meno positiva a seconda della fiducia in se stessi, nelle proprie risorse e competenze e nella fiducia nelle risorse esterne (come ad esempio un adulto che mi affianca, mi aiuta e incoraggia o mi spiega come risolvere problema se è troppo complesso per me), delineandone l’apprendimento di strategie funzionali alla risoluzione in autonomia di “compiti simili” sempre più complessi. Per contro, di fronte ad una situazione nuova, la mancanza di fiducia in sé e negli altri genera paura ed anche una rinuncia nell’affrontare l’evento, rallentando la crescita cognitiva e l’apprendimento. Ne consegue che il bambino impara ad assumere comportamenti passivi nell’affrontare gli eventi: farsi risolvere tutto dagli altri, ovvero essere “dipendente dagli altri”, una modalità che si ripercuoterà negativamente anche nello sviluppo futuro.
Lo stress è, dunque, uno stato fisiologico normale che fa parte della crescita e per questo non deve essere evitato. Se affrontato in maniera efficace e si apprendono i suoi meccanismi, induce a una maggiore funzionalità d’azione, al benessere e alla crescita personale.
Il valore “stressante” di ogni stimolo è stabilito dalla valutazione individuale assegnata alla situazione stessa, confrontata con l’esperienza e le competenze che la persona sente di possedere per affrontarla. Se ne deduce che lo stress è un fenomeno soggettivo, per cui ogni persona reagisce in maniera individuale a possibili agenti o situazioni percepiti come potenzialmente stressanti, ciò denota che non riconoscere o svalutare la percezione dello stress altrui è pressoché irrispettoso. La risposta allo stress viene infatti determinata da una serie di fattori personali (ad esempio la motivazione, l’autostima e l’autoefficacia), indubbiamente legati alla condizione e allo stato d’animo in cui l’individuo viene a trovarsi in quel particolare momento. La valutazione cognitiva definisce quanto la situazione potenzialmente stressante può incidere su di me in maniera negativa ed esprimere il disagio psicologico: più ritengo sia stressante, più sarà negativo l’impatto su di me che perdo la fiducia nelle mie potenzialità, in balia dell’insicurezza, mi concentro esclusivamente sulle emozioni e pensieri negativi che questo evento mi genera, instaurando un circolo vizioso.
L’individuo quindi cerca di adattarsi alla situazione che provoca stress, attraverso una sua modalità personale di gestire le situazioni psicologicamente pressanti, un insieme di strategie di coping, che non sempre però possono portare a risultati positivi. Secondo Lazarus, il coping riguarda un insieme di sforzi emotivi, cognitivi e comportamentali messi in atto dalle persone per affrontare specifiche richieste interne od esterne percepite come “pesanti” rispetto alle proprie risorse ed aspettative.
Tutto sta quindi nella nostra percezione degli eventi e nella nostra valutazione cognitiva su di essi ma anche nella nostra percezione delle nostre capacità e risorse interne o esterne. Più ci troviamo di fronte a situazioni diverse (anche per complessità) e riusciamo ad affrontarle in termini di “eustress” più miglioriamo e cresciamo, generando quell’apprendimento continuo che ci permette di progredire per tutta la vita, diventando sempre più resilienti.