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Verso l’interculturalità. L’infinito antropologico di Francesco Spagna

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Mimesis editore ha pubblicato i risultati del lavoro di ricerca condotto da Francesco Spagna, che insegna Antropologia Culturale all’Università di Padova, sull’infinito antropologico. Nella prefazione, curata da Giangiorgio Pasqualotto, già si evincono le teorizzazioni dell’autore contenute nel testo. Andare oltre l’antropologico e gli ‘oggetti’ delle sue indagini. Includere come oggetto di osservazione anche il soggetto che osserva, col rischio è vero di una deriva soggettivistica ma necessario per aprire nuovi orizzonti e nuove avventure.

Abbandonare la neutralità senza lasciarsi troppo tentare dall’autobiografia ma volgendo lo sguardo e l’interesse all’interpretazione, ecco la strada indicata da Spagna per la definizione di un concetto di infinito antropologico, che può legittimarsi solo coniugandosi a quello di intercultura, non di multicultura.
Spagna non si ferma in discussioni di carattere metodologico interne alla disciplina ma ricerca e interagisce con la Filosofia, Bruno e Fichte in particolare, e il risultato è meno sconcertante di quanto possa apparire a prima vista. Risulterà essere proprio il concetto spinoziano di ‘infinito’ come ‘innumerabile’ il sostegno principale alle teorizzazioni dell’autore.

I numerosi tentativi di classificazione sistematica dei dati etnografici non hanno prodotto altro che il rischio di tradurre l’immagine del mosaico in quella del labirinto. Spagna sottolinea che non è questo l’infinito antropologico a cui vogliamo arrivare.

Interessanti anche le considerazioni di Alexian Santino Spinelli riportate nella postfazione.

La popolazione romanì, costituita da cinque grandi gruppi principali (rom, sinti, Kale, manouches e romanichals) e da una moltitudine di sottogruppi e comunità diversissime fra loro, rappresenta un esempio di ‘infinito antropologico’.
Una popolazione, quella romanì, alle prese con un costante processo di mutazione e negazione col mondo esterno per evitare l’annientamento e per ‘resistere’ attraverso un’intensa attività interculturale assorbendo elementi vitali dal mondo circostante per rivitalizzarsi e per attualizzarsi.
Spinelli sottolinea gli errori interpretativi del passato e in parte anche contemporanei che hanno voluto vedere nella mobilità coatta delle comunità romanès una sorta di nomadismo, motivo spesso alla base dei conflitti generatisi con le società sedentarie ospitanti.

Questa dinamicità, unita all’interscambialità e alla flessibilità dei modelli di vita è il segreto della lunga esistenza nel tempo e nello spazio di comunità semplici e prive di difese e di coperture politiche, senza eserciti e senza terrorismi.


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