Quello Stato “non riconosce la libertà di stampa”, ha detto l’autore di Via Crucis . L’altro giornalista ha opposto il segreto professionale. La procedura
I giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, al centro del nuovo caso Vatileaks per la pubblicazione di due libri – inchiesta che hanno fatto luce sulle finanze della Chiesa, convocati dal promotore di giustizia in Vaticano, hanno operato scelte diverse. Fittipaldi, autore di Avarizia, lo scorso 16 novembre si è presentato all’interrogatorio in Vaticano e ha invocato il segreto professionale previsto dalla legge italiana. Invece Nuzzi non è andato. Le procedure giudiziarie dello Stato Vaticano prevedono la reclusione da quattro a otto anni per la divulgazione di questo genere di notizie riservate.
Nuzzi, autore del libro inchiesta Via Crucis, era stato convocato la mattina del 17 novembre. Ha spiegato che non intende presentarsi davanti a un inquisitore di uno Stato che, ha affermato, non riconosce la libertà di stampa. “Da parte mia – ha scritto sulla sua pagina Facebook – continuerò a fare il mio lavoro di cronista, giornalista e testimone di ciò che non si vuol che sia raccontato”.
Le preoccupazioni di Nuzzi non sembrano infondate. Ecco il punto sulla situazione giurisdizionale dello Stato del Vaticano, anche in relazione a una eventuale richiesta di estradizione dei due giornalisti dall’Italia.
Lo Stato della Città del Vaticano adotta dal 1929 i codici penale e di procedura penale dello Stato italiano: si tratta dei testi del 1889, le cui norme sono state aggiornate nel luglio 2013, primo anno del Pontificato di Papa Francesco.
Le norme penali che si applicano al caso “Vatileaks” e ai due giornalisti italiani autori dei due libri sotto accusa sono l’articolo 4 e l’articolo 10 della Legge del 2013 dello Stato del Vaticano contenente le “Modifiche al codice penale”.
Articolo 4: se per i reati contro lo Stato commessi da stranieri in terra straniera è prevista una pena minima non inferiore a tre anni di reclusione il soggetto è punito secondo la legge dello Stato Vaticano.
Articolo 10: tratta il reato di “divulgazione di notizie e documenti”. Se questi riguardano “gli interessi fondamentali o i rapporti diplomatici della Santa Sede e dello Stato si applica la pena della reclusione da quattro a otto anni”.
Se contro i due giornalisti fosse aperto un processo, per giudicarli il Vaticano dovrebbe chiedere la loro estradizione allo Stato italiano. Quest’ultimo potrebbe rifiutare l’estradizione appellandosi all’articolo 705 del codice di procedura penale. Infatti, l’estradizione non viene concessa se chiesta sulla base di disposizioni “contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato” italiano.
Non vi è alcun dubbio che tra “i principi fondamentali” vi sia, soprattutto, la Costituzione italiana, il cui articolo 21 tutela la libertà di stampa e il diritto all’informazione. Inoltre, il codice penale italiano con l’articolo 51 considera non punibili i reati commessi nell’esercizio di un diritto, nel caso dei giornalisti il diritto a informare.
RDM GFM