Cari amici di Articolo 21,
condividiamo da tempo una profonda avversione ai bavagli e alle censure. Non ci piacciono. Riteniamo che vadano combattuti a tutte le latitudini. E condannati anche quando a imporli sono Stati esteri. Da questo punto di vista, l’accusa di pubblicazione di notizie riservate, da cui due giornalisti italiani, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, si stanno difendendo davanti al Tribunale della Città del Vaticano non è degna di un Paese civile. Con le loro pubblicazioni, Fittipaldi e Nuzzi hanno fatto il loro dovere, ossia informare l’opinione pubblica, non soltanto italiana, di trame di potere e di traffici poco leciti che hanno coinvolto anche alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica.
È paradossale che venga contestata ai giornalisti la pubblicazione di notizie, anche se riservate o coperte da segreto, soprattutto quando c’è un interesse dell’opinione pubblica a conoscere determinati fatti. In questo, come in altri casi, erano altri – e non i giornalisti – che avrebbero dovuto custodire i segreti. È pertanto auspicabile che i giudici vaticani tengano conto di questo aspetto e che, pur non essendo lo Stato Vaticano membro del Consiglio d’Europa, si rifacciano ai principi in tema di libertà di stampa e di tutela delle fonti dei giornalisti sanciti dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Quei principi hanno infatti natura generale e possono ritenersi vincolanti per tutta la comunità internazionale, a prescindere dall’adesione alle Convenzioni. Sarebbe grave e inspiegabile un diverso orientamento della giustizia vaticana. Non vorremmo, infatti, che Emiliano Futtipaldi e Gianluigi Nuzzi, ai quali vanno il sostegno e la solidarietà di tutti noi, diventassero gli agnelli sacrificali per coprire i veri responsabili della vicenda. Che, evidentemente, sono dentro le mura vaticane.
Ho però una speranza. Ritengo che ci siano le condizioni affinché Papa Francesco, che ha fatto della trasparenza e dell’illuminazione delle periferie due pilastri del proprio pontificato, possa con un motu proprio introdurre nella legislazione vaticana i principi generali sul diritto-dovere di informare sanciti dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, riportando il processo in corso sui binari della credibilità. Sarebbe un ulteriore suggello della rivoluzione dell’umiltà imposta da Francesco alla Chiesa Cattolica.