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Un muro tra Kenya e Somalia

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Si alza la tensione tra la Somalia e il Kenya e per la prima volta una larga maggioranza dei parlamentari somali ha votato in questi giorni affinché tutti i militari kenioti lascino il territorio nazionale che occupano come truppe di AMISOM. I somali accusano il Kenya di approfittare della presenza militare nel sud della Somalia per partecipare al contrabbando di zucchero e carbone con a complicità del governatore Ahmed Madobe Islam, mentre a Nairobi si progetta la costruzione, in territorio somalo, di un muro lungo 440 miglia per arginare gli sconfinamenti dei terroristi di Al Shabab. Il progetto spacca in due l’antica città commerciale di Baled Hawo. Una delegazione di parlamentari si è recata lungo il confine per verificare lo stato della costruzione.

L’accusa di contrabbando non è un’invenzione propagandistica, ma era già presente in un rapporto ONU di quest’anno che è stata rilanciata nei giorni scorsi dal gruppo “Giornalisti per la giustizia” nell’articolo “Bianco e Nero: Racket del Kenya in Somalia”. Una Giustizia che in Somalia, però, stenta a farsi strada: del resto, in Occidente, viene raffigurata come una donna con una benda sugli occhi!
Un altro rapporto dell’ONU lamenta, infatti, ripetute violazioni del diritto da parte dei Tribunali somali che comminerebbero troppe pene di morte all’esito di processi del tutto sommari.

Ivan Simonovic, Assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha esortato il governo della Somalia a dare all’imputato un tempo sufficiente per preparare un’adeguata difesa e l’eventuale appello prima di eseguire le condanne alla pena capitale sottolineando che “Non si può sconfiggere Al Shabab con le sole operazioni militari, ma si deve incidere sulle radici e le origini dell’estremismo che comprendono povertà, corruzione, cattiva gestione e discriminazione contro le minoranze”.

Il gruppo di Ivan Simonovic ha anche chiesto al Presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud di imporre una moratoria sulla pena di morte impegnando il suo governo a garantire che tutti i giudici nazionali, civili e militari, rispettino le norme del giusto processo.

Ma di questi tempi il Presidente Mohamud ha altro a cui pensare. Avendo deciso di ricandidarsi alle prossime elezioni generali dell’agosto 2016, sta posizionando sul territorio i suoi alleati. L’ultima impresa in tal senso è stata la collocazione come presidente della Regione di Galmudug – un’area della Somalia centrale – di Abdikarim Hussein Guled suo ex ministro della sicurezza e fedelissimo della setta affaristica, più che religiosa, di Damul Jadid.

Estromesso dal Gabinetto ministeriale dell’ex Primo Ministro Abdiweli Sheikh Ahmed – oggi fondatore del partito Forum per l’Unità e la Democrazia – Guled è stato imposto dal Governo centrale a capo del Galmudug condizionando i 68 componenti del parlamento regionale i quali, a loro volta, condizioneranno la nomina dei parlamentari federali nel 2016 a favore di Mohamud.

Anche in questo caso è stata l’ONU a svelare la manovra presidenziale nel nuovo rapporto sulla Somalia e l’Eritrea del Gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite dove si legge espressamente che in Galmudug il Governo Centrale ha impiegato i fondi destinati agli stipendi dei pubblici dipendenti, compresi i militari che combattono Al Shabab, per conquistare la fedeltà a Guled degli attuali parlamentari regionali. La manovra, peraltro, ha innalzato le tensioni con la regione semiautonoma del confinante Puntland che ha accusato il Governo centrale di mirare ad annettersi parti consistenti del suo territorio ed in particolare l’importante città di Galcayo, attualmente sotto la propria influenza.

Bisogna dire che se l’ONU, dopo le denunce, intervenisse più efficacemente sul governo della Somalia – visto che si regge sul supporto della comunità internazionale – molto probabilmente si accelererebbe il processo di un’equilibrata e più giusta stabilizzazione del Paese.


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