Uganda e Centrafrica, due mete importanti del viaggio di Papa Francesco. Due paesi dove, vorrei ricordarlo, i bambini sono ancora vittime di violenze e guerre oggi tra le più dimenticate. In Uganda si vive un periodo di pace dal 2007 ma gli effetti del conflitto sono evidenti. Il paese è ancora devastato e più della metà dei bambini sotto i 5 anni oltre al 40 per cento dei minori dai 6 ai 17 anni vive in uno stato di povertà assoluta. La situazione è aggravata dal continuo flusso di migranti, centinaia e centinaia di rifugiati arrivati dal Sud Sudan e dal Burundi, dove il clima di brutalità dei gruppi armati è ormai fuori controllo. Molti bambini che compiono questo viaggio attraverso le frontiere sono soli, non accompagnati, vulnerabili e vittime fin troppo spesso di abusi sessuali.
Anche la Repubblica Centraficana si trova ad affrontare lo stesso problema, e il numero dei baby-sfollati ha raggiunto punte altissime fino a 2,4 milioni. Qui, al contrario di quando avviene in Uganda, il conflitto è ancora in corso. Gli attacchi sono frequenti e purtroppo bambini e bambine di tutte le età vengono presi di mira, come fossero bersagli, uccisi o mutilati oppure arruolati tra le file dei gruppi armati. Dal 2013, secondo le stime UNICEF, sono stati tra 6 e 10mila i minori assoldati da entrambe le fazioni, sia per prendere parte ai combattimenti, sia per lavorare come cuochi, corrieri nelle staffette o con altri ruoli. Anche le bambine combattono. Spesso vengono sfruttate sessualmente dai soldati adulti e subiscono il trauma della violenza carnale. Un bambino non dovrebbe mai assistere a tutto questo. Uniamoci, tutti, agli appelli del Santo Padre certi che il suo arrivo porterà in queste terre massacrate dalle guerre e dalla povertà un messaggio ancora più grande di speranza e riconciliazione.