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Sull’assoluzione dell’ex ministro democristiano Calogero Mannino

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Basta ritornare ai miei studi del fenomeno mafioso (cosa su cui ritornerò con un prossimo saggio) o sfogliare  due articoli di un quotidiano della capitale per comprendere che cosa ha significato l’assoluzione della Corte di Assise di Palermo che – proprio oggi – ha assolto con formula piena l’ex ministro democristiano Calogero Mannino (titolare degli Interventi straordinari nel  Mezzogiorno) nel sesto governo Andreotti.

Politico di lungo corso, sottosegretario e poi ministro nei governi Spadolini degli anni Ottanta come nel governo Goria, Mannino ha la sfortuna – per così dire – di essere udito da una giornalista, Sandra Amurri, che ascolta una sua conversazione con il compagno di partito Giuseppe Gargani (nominato commissario dell’Agcom dal governo dell’Ulivo, poi transitato in Forza Italia e di lì confluito nel PDL) in un bar di Roma e ne scrive sul quotidiano di cui stende le sue cronache. Racconta la Amurri in quell’articolo: “Hai capito, questa volta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E quando va, deve dire anche lui la stessa volta perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante volte cazzate ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre  sapeva tutto di noi. Lo sai? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione”.

E di fronte a Gargani che lo rassicura sul fatto che parlerà con De Mita, aggiunge: “Fallo subito, è importante, mi raccomando.”  La testimonianza della giornalista sarà ascoltata quindi dai pubblici ministeri Ingroia (che lascerà in seguito la magistratura), Di Matteo, Lia Sava e Paolo Guido nel processo sulla trattativa. E ,nell’audizione dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia presieduta dal senatore Pisanu, il procuratore della repubblica di Palermo a nome del pool dei rappresentanti dell’accusa, illustra così il ruolo dell’ex ministro: “Tra la conclusione del maxiprocesso, il 30 gennaio 1992, e l’uccisione dell’on. Salvo Lima, il 12 marzo dello stesso anno, si colloca, a nostro avviso, un evento: il ministro Calogero Mannino parla con il maresciallo Guazzelli , appartenente all’Arma dei Carabinieri, ucciso poco dopo dalla criminalità organizzata, che era un investigatore molto attivo e molto efficace all’interno del contesto della mafia agrigentina-esternandogli il suo timore di essere ucciso dalla mafia. Dice in particolare: “Ora uccidono me o uccidono Lima”… Possiamo quindi dire che l’onorevole Mannino teme di essere ucciso dalla mafia, mentre poi la mafia uccide Lima.

L’onorevole Mannino esternerà i suoi timori anche ad una serie di altre persone (il dottor Contrada, il generale Subranni) alle quali riferirà di aver subito minacce e forme di intimidazione che non avrebbe però denunciato. In questa fase, quindi, prima della strage di Capaci, la mafia sembra orientata in una campagna di intimidazione e di punizione di quegli esponenti politici che erano venuti meno – a suo giudizio  -ad una sperata attività in loro favore. Di fronte all’assoluzione con formula piena ora l’ex ministro non si limita a tirare un sospiro di sollievo ma attacca a fondo il pubblico ministero Di Matteo che ha sostenuto in aula l’accusa contro di lui: “Il pubblico ministero Di Matteo – dichiara – nel processo per la strage di via d’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta ha fatto condannare persone innocenti per la sua ostinazione e forse con me voleva fare lo stesso. “Ed ha aggiunto infine:” La tesi accusatoria nei miei confronti è tutta fantasiosa. Spero che sia stata data la parola fine a questo atto… Ho fiducia nella giustizia che non vuol dire fiducia nei pubblici ministeri che rappresentano l’accusa molte volte ostinatamente pregiudiziali nei miei confronti.” Naturalmente c’è nell’ex ministro il timore che i gradi successivi di giudizio non ripetano l’assoluzione di oggi e che l’intero processo sulla trattativa che è per molti aspetti il più difficile non arrivi a una soluzione finale di accerta mento della verità e quindi  a conseguenti condanne non soltanto di esponenti di Cosa Nostra ma anche di politici e di militari.  Ma questo è difficile prevederlo oggi come oggi.


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