Sport marcio

0 0

C’è del marcio nello sport. Lo sapevamo da tanto tempo, ma era difficile sospettare una diffusione così capillare e massiccia. Sapevamo che il calcio, globale e locale, è ormai un contenitore di corruzione e di imbrogli a tutti i livelli, ma si sperava che lo sport olimpico, salvo le inevitabili eccezioni negative, fosse al riparo dai miasmi soffocanti del doping. E invece no. Si sperava che la mostruosa stagione della Ddr, la Germania Est che voleva conquistarsi credibilità internazionale grazie ai risultati sportivi, fosse definitiva conclusa. Ho vissuto in presa diretta quegli anni, quando i sospetti erano certezze in chi nuotava nelle corsie vicine a Novella Calligaris, piccola e ostinata combattente, che doveva confrontarsi con valchirie geneticamente modificate a forza di enormi dosi di steroidi. Ma quelle gigantesse –come ha detto Novella in queste ore- erano vittime di un sistema oppressivo che pensava di poter dominare e stravolgere “le vite degli altri”. Adesso, paradossalmente, è molto peggio. Il doping è ancora “di stato”, ma non c’è più sopraffazione quanto complicità tra vittime e carnefici, con gli atleti che inseguono docilmente –per vanità mediatica e/o per soldi- le indicazioni di stregoni del metabolismo che potenziano proditoriamente la forza e la resistenza dei loro muscoli.

La denuncia della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, nei confronti della Federatletica russa è devastante, da tutti i punti di vista. Le autorità russe negano e denunciano un attacco di origine “politica”, ma non avranno vita facile –a parte la propaganda nazionalista- nel rispondere alle 323 pagine del dettagliato dossier.

Centinaia di medaglie olimpiche rischiamo di trasformarsi in polvere.

Si tratta di un tradimento di proporzioni enormi, che non è solo sportivo e politico, ma soprattutto etico. Per molti aspetti lo spirito olimpico ha iniziato a corrompersi con i Giochi di Berlino nel 1936, quando il nazismo decise di aderire al cosmopolitismo tipico dello sport per sancire il suo trionfo propagandistico. I Giochi Berlino furono raccontati magnificamente dalle immagini di Leni Reifenstahl, rappresentarono l’ingresso trionfale della prepotenza dello stato nello sport, ma furono “salvati” sul piano etico dalla amicizia sincera e profonda di due avversari, l’afroamericano Jesse Owens e il tedesco Luz Long, che non cedettero alle ideologie politiche e “razziali”. Ma la politica di potenza perseguita attraverso lo sport, da quei giorni, non si è più interrotta, come dimostrano le varie Olimpiadi boicottate durante la guerra fredda. Poi sono arrivati i soldi, tanti soldi, capaci di corrompere tutto e tutti, perché le immagini dello sport, dal calcio alle Olimpiadi, grazie alla televisione, sono diventate un clamoroso strumento di pubblicità commerciale e di propaganda politica.

Il problema, a questo punto, è soprattutto uno: saprà il mondo dello sport, dominato da eterni mandarini, rispondere a questa catastrofe etica? Non è una domanda retorica, perché lo sport può e deve essere un modello di riferimento per milioni e milioni di giovani, che in tutto il mondo lo praticano con gioia e speranza, credendo alle sue regole, al principio di uguaglianza delle opportunità e del valore del merito. Se si toglie ai giovani anche questa speranza c’è il rischio concreto che non credano più in niente, che pensino che il successo si possa raggiungere con poca fatica e senza scrupoli. Per restituire l’etica allo sport la soluzione è tanto semplice quanto (quasi) impossibile. Lo sport deve applicare i propri principi in modo rigoroso, senza guardare in faccia a nessuno e –come sostiene Sandro Donati, che ha lo sguardo lungo in tema di doping- far emergere tutto il marcio che si annida in una ricerca scientifica che si è venduta l’anima, condannando e sospendendo tutti i responsabili, Federazioni e notabili intoccabili compresi, ben oltre l’orso russo.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21