Rouhani in Italia, Amnesty e Iran human rights scrivono a Renzi

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La visita in Italia di Hassan Rouhani il 14 e 15 novembre è la prima missione ufficiale in un paese europeo del presidente della Repubblica Islamica dell’Iran. Un’occasione storica, perché arriva nel momento in cui, tagliato con fatica il traguardo del negoziato sul nucleare e alleggerito perciò dal peso delle sanzioni internazionali, l’Iran guarda finalmente all’Europa con la dignità di un possibile partner economico, commerciale, culturale, oltre che come una potenza regionale in grado di influenzare i precari equilibri del Medio Oriente. Non è difficile immaginare che il viaggio di Rouhani, nato dopo la visita a Teheran del ministro degli Affari esteri Paolo Gentiloni, creerà i presupposti di proficue collaborazioni a tutti i livelli tra i due stati.

La Repubblica Islamica dell’Iran rimane tuttavia un paese pieno di contraddizioni. Rouhani ha ormai scavallato la metà del suo mandato, essendo in carica da più di due anni, nel corso dei quali alle aperture sul piano internazionale non hanno corrisposto altrettante novità su quello interno. Rouhani era stato eletto proprio per portare a casa un accordo sul nucleare, necessario per far uscire il paese dalla profonda crisi economica in cui l’isolamento internazionale lo aveva portato. Ma se in politica estera le resistenze del fronte conservatore hanno sì ritardato ma non impedito il raggiungimento dello scopo, all’interno dell’Iran sotto la presidenza Rouhani ben poco è cambiato per quanto riguarda i diritti umani e le libertà civili dei cittadini. Non tutto ricade sotto la responsabilità di Rouhani – sia ben chiaro – e anzi è assai verosimile l’ipotesi che i conservatori cerchino di mettere in difficoltà il presidente aggravando il già negativo record dell’Iran nel campo dei diritti umani e screditando l’immagine del paese proprio mentre Rouhani si accinge a presentarlo in Europa come uno stato affidabile e moderno. Sta di fatto però che per le organizzazioni che difendono i diritti umani la presenza in Italia dell’illustre ospite iraniano è un’occasione irripetibile per ricordare alle istituzioni democratiche che, se è giusto ed auspicabile fare dell’Iran un partner sempre più prezioso, tuttavia questo non può avvenire trascurando i diritti e le libertà di milioni di iraniani. È questo il senso delle lettere che sia Amnesty International che Iran Human Rights Italia hanno inviato al presidente del Consiglio Matteo Renzi alla vigilia del viaggio italiano di Rouhani.

Per IHR Italia è particolarmente importante ricordare al governo italiano i dati sulla pena di morte in Iran. Dati che sono perfino aumentati, sotto la presidenza Rouhani, rispetto al passato. Dall’inizio del 2015, secondo le cifre in possesso di Iran Human Rights, in Iran sono state messe a morte più di 800 persone. A far crescere a dismisura le statistiche delle esecuzioni capitali in Iran sono le pene comminate per reati di droga. 2500 sentenze di morte sono state eseguite, negli ultimi cinque anni, per questo genere di reati. In Iran il possesso di modeste quantità di eroina o cocaina è sufficiente a rischiare la pena di morte, in completa contraddizione con quanto affermato dalla Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici, sottoscritta anche dall’Iran. L’articolo 6 di quel trattato prevede infatti che, anche laddove la pena di morte non venga abolita, essa può tuttavia essere applicata “solo per i reati più gravi”. Il possesso e lo spaccio di piccole quantità di sostanze stupefacenti senza dubbio alcuno non rientrano in questa categoria.

Ciò che a Iran Human Rights preme segnalare alle istituzioni italiane e in particolare al Capo del governo, è che la Repubblica Islamica dell’Iran, nella sua legittima lotta al narcotraffico, utilizza le risorse internazionali dei programmi dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC). Risorse che, di fatto, finanziano misure che portano sul patibolo centinaia di persone ogni anno, al termine di procedimenti giudiziari che spesso si svolgono a porte chiuse nei Tribunali rivoluzionari, senza garanzie per i diritti degli imputati. Ed è questa la ragione per la quale vari paesi europei, come Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna hanno smesso di dare il loro contributo, a fronte della constatazione che i finanziamenti a quei programmi si traducono, nel caso dell’Iran, in un incremento delle esecuzioni. Non così l’Italia, che pure è da lungo tempo un paese abolizionista in tema di pena di morte, scelta che è stata pronta a sostenere in tutte le opportune sedi internazionali. Si tratta di un’imbarazzante quanto pericolosa contraddizione: il nostro paese, contrario alla pena capitale, contribuisce nei fatti al finanziamento in Iran di programmi che danno come esito centinaia di sentenze di morte eseguite ogni anno. Questo nonostante recentemente le stesse autorità iraniane abbiano riconosciuto che la politica antidroga sin qui condotta non ha prodotto i risultati sperati. IHR Italia ha chiesto perciò con forza al presidente del Consiglio Matteo Renzi di riconsiderare la posizione italiana al riguardo, se l’Iran non sarà disponibile a cambiare le sue leggi antidroga.

“L’Iran che ambisce ad essere un interlocutore importante e affidabile – ha scritto la presidente di IHR Italia Cristina Annunziata a Renzi – deve urgentemente cambiare rotta anche in tutti gli altri campi dei diritti umani, e sta anche tra i doveri delle nostre Istituzioni esercitare opera di persuasione e vigilare affinché questo avvenga. Altrimenti il dialogo e l’amicizia tra i due Paesi avranno solo contenuti economici, e verrà perduta l’occasione per spingere l’Iran a normalizzare non solo i suoi rapporti con il mondo esterno, ma anche le sue dinamiche sociali e politiche interne.”

La Repubblica Islamica dell’Iran– ricorda ancora Annunziata – continua a tutt’oggi ad essere “un Paese in cui dissidenti, attivisti politici, difensori dei diritti umani, giornalisti, studenti, artisti, sindacalisti, esponenti di minoranze etniche, politiche e religiose vengono incarcerati e condannati a pesanti pene detentive per il solo fatto di avere esercitato il loro diritto alla libertà di opinione e di espressione. Un Paese che, con leggi apposite, nega alle donne parità di diritti e di opportunità rispetto agli uomini. Un Paese che vieta alle organizzazioni per i diritti umani indipendenti, così come al Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran (il dottor Ahmed Shaheed), di avere libero ingresso in Iran e di poter collaborare con le autorità locali nell’ottica di una migliore tutela dei diritti dell’uomo.”

Parlare anche di questo, con il presidente Rouhani in visita a Roma, oltre che di partnership economiche e di politica mediorientale, sarebbe auspicabile e doveroso.


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