Pasolini, quarant’anni e un’assenza

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Già quarant’anni dalla tragedia di Pier Paolo Pasolini, assassinato all’Idroscalo di Ostia nella notte fra l’1 e il 2 novembre del 1975. Aveva cinquantatre anni quando venne ucciso in circostanze mai davvero chiarite, non si sa da chi né perché, costituendo uno dei tanti misteri italiani tuttora senza soluzione e senza giustizia.

La giustizia, la verità, la limpidezza: quei valori per i quali PPP è vissuto e ai quali ha dedicato la sua feconda attività di intellettuale, nei romanzi e nel cinema, negli articoli e nelle tante battaglie sociali e civili delle quali è stato protagonista. Valori e princìpi universali che meglio di chiunque altro seppe incarnare e descrivere nella sua prosa agra e ficcante, senza compromessi, pronta a illuminare le periferie del dolore e del disagio, capace di abbassare lo sguardo sui volti degli ultimi e degli esclusi, sulle loro storie, sui loro drammi e sulle loro amarezze.

PPP e l’amore, descritto senza ipocrisia, mostrandone il vero volto nella sua complessità e nelle sue mille forme, in un’Italia ancora bigotta e in bilico fra tradizione e modernità, speranze e ardori giovanili da una parte e conservatorismi mai davvero sopiti dall’altra, in una società legata a filo doppio a forme di clericalismo ottuso che quest’artista corrosivo e modernissimo non ha mai smesso di contrastare.

PPP e il calcio, di cui era appassionato, considerandolo uno dei piaceri della vita ma anche un modo per scavare, conoscere, comprendere e scrutare da vicino la società e le sue evoluzioni, probabilmente cogliendo nelle gesta dei campioni affermati che tutti ammiravamo, e ammiriamo tuttora, quelle tracce di proletariato e infanzie difficili che sono comuni a molti miti dello sport, con quei volti che, prima di diventare poster ed emblemi di successo, sono stati immersi nella miseria, nella sofferenza, nel disprezzo, conoscendo da vicino quelle “favelas” italiane che furono alla base dell’osservazione e della critica sociale di Pasolini.

PPP e la religione, lui che era ateo e comunista ma aveva una sua forma di profondità spirituale, il cui apice si raggiunge ne “Il Vangelo secondo Matteo”: film girato nel ’64 con attori non professionisti, principalmente a Matera, in una località scelta proprio per la sua lontananza dalle luci della ribalta, per le sue facce scavate, per la sua miseria, per la sua autenticità, in quella Basilicata dimenticata e umiliata come tutto il Sud cui il regista volle offrire un’occasione di riscatto, trasformando un’opera dai contorni biblici in una grande riflessione sul nostro tempo e le sue molteplici sfaccettature.

PPP e il ’68, lui che era un contestatore di natura, simbolo dell’anticonformismo e sempre incline alla provocazione ma che in quell’occasione si schierò dalla parte dei poliziotti che repressero la manifestazione studentesca del 1° marzo a Valle Giulia, accusando quei ragazzi di essere solo dei figli di papà mentre i veri sfruttati, i veri oppressi, i veri poveri erano i loro coetanei in divisa, costretti a svolgere quel mestiere dall’ignoranza e dalla miseria, dalla mancanza di opportunità e dalla necessità di portare comunque il pane a casa. Una critica aspra, feroce, contestata e a tutt’oggi discussa ma amaramente anticipatrice di una tendenza cui avremmo assistito negli anni successivi, con l’avanzare del terrorismo e l’incedere della violenza, fino alla perdita totale di quelle passioni, di quegli entusiasmi e di quelle travolgenti ubriacature ideologiche che all’epoca sembravano pure e, invece, col tempo, si sono rivelate solo una moda fra le tante, presto sostituita da note radicalmente opposte, suonate su uno spartito che nulla aveva a che vedere col precedente ma al quale quei ragazzi, un tempo contestatori, poi divenuti conformisti, non fecero particolare fatica ad adattarsi.

PPP e i silenzi, PPP e i non detti, PPP e le iniquità di un Paese in cui troppi sanno ma preferiscono tacere, in cui troppi mentono sapendo di mentire, in cui troppi preferiscono servire un padrone anziché dire la verità e cercare di smascherare i limiti e i lati nascosti e meschini del potere di turno: anche per questo molti lo criticavano, anche per questo è stato, fondamentalmente, un grande incompreso, anche per questo abbiamo cominciato a capirlo e ad apprezzarlo solo quando abbiamo avvertito la sua assenza e ci siamo affacciati sul vuoto incolmabile che la sua morte aveva causato.

E quel vuoto, ormai, lo percepiamo ovunque: nella mancanza di un’eresia positiva che mostri una visione diversa e radicalmente alternativa rispetto all’asfittico panorama attuale, nella perdita di quelle parole graffianti e pericolose, nell’impossibilità di attingere a quella dolcezza poetica e, al tempo stesso, amara che frustava la pochezza e il degrado di un presente già allora sconfortante, nella sconfitta di ogni illusione e di ogni prospettiva di miglioramento, nella devastazione dei luoghi dimenticati e abbandonati a se stessi e in tutti quegli angoli nascosti di società e di vita nei quali oggi avvertiamo la mancanza di una luce che ce li mostri in maniera diversa da come appaiono.

Mai come in questo momento avvertiamo la mancanza dei versi aspri e feroci di quest’intellettuale sferzante e inarrivabile, il suo precedere i tempi, il suo gridare quando tutti gli consigliavano di seguire il flusso della corrente, il suo procedere in direzione ostinata e contraria, il suo fare dell’opposizione a qualunque forma di potere una ragione di esistere e del suo essere diverso, a tratti quasi enigmatico.

PPP e un pensiero a cosa avrebbe scritto sulla Roma di oggi, sulle sue periferie abbandonate, sui suoi scandali, sulle sue collusioni e connivenze fra il potere politico e il malaffare e sul suo sbriciolarsi al cospetto di un mostro, quello dell’indifferenza assassina, che ha finito per invaderla e spolparla, fino a trasformarla in una città fragile, sfigurata, immiserita sotto tutti i punti di vista, come se fossimo sul palcoscenico di una farsa o su un ring in cui tutti combattono contro tutti e a vincere è sempre e comunque la confusione.

Poi rileggi le sue pagine e ti accorgi che molte delle risposte che cerchiamo PPP le aveva fornite già cinquanta-sessant’anni fa, solo che nessuno volle vedere, nessuno volle ascoltare, molti preferirono voltarsi dall’altra parte, troppi preferirono lasciar perdere e lavarsi pilatescamente le mani, ben sapendo a quale fine rischiasse di andare incontro chi aveva il coraggio di dire le cose come stavano realmente. Per questo la lezione di Pasolini è stata volutamente dimenticata, per questo si è preferito farne un santino anziché fermarsi a riflettere sulle sue denunce, per questo, quarant’anni dopo, non è rimasto altro che il nulla. Di lui e, purtroppo, anche di noi.


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