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Nostalgia – La Capria: Ultimi viaggi nell’Italia perduta

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Se il sud non è soltanto una latitudine geografica, ma un luogo dello spirito e della mente da esplorare in cerca di se stessi, come facevano i viaggiatori ottocenteschi del Grand Tour, esiste un impagabile Virgilio al quale affidarci con entusiasmo e che ci regala in questi giorni un nuovo libro edito da Bompiani: “Ultimi viaggi nell’Italia perduta”. Un titolo spolverato dallo zucchero a velo di una dolce malinconia, per il quale Raffaele La Capria si ispira a una frase di Annamaria Ortese: “Rievocare i paesaggi del passato non si può, diciamo che Dio non vuole; vi è in essi alcunché dell’Eden consentito all’uomo una volta sola… egli non può rientrarvi”. Ricomponendo in un unico testo rapinoso il sentimento sparso per tanti rivoli nei lunghi anni di intensa attività letteraria, La Capria ci ‘racconta’ dunque il sud dell’Italia, la sua Napoli e le amatissime isole del golfo dove sono approdati quasi tutti i grandi scrittori e poeti del secolo scorso; uno particolarmente amato, Norman Douglas, a suo giudizio il più profondo nel descrivere Capri e coglierne l’anima segreta: “Era un vegliardo imponente che non poteva passare inosservato, anche perché con lui si accompagnava sempre un ragazzino ricciuto e non ancora adolescente che gli altri scugnizzi chiamavano senza peli sulla lingua, puttanella”. In realtà, annota l’autore, sembrava il centauro Chirone con Achille bambino, com’è raffigurato sui vasi greci.

Nel libro su Capri, composto  tra il 1904 e il 1909, lo scrittore vittoriano rievoca La terra delle sirene, l’imperatore Tiberio e molti altri personaggi, ma senza indugiare nella facile vena ‘pittoresca’ dei suoi predecessori, anzi attento a dipanare una rigorosa ricostruzione filologica attraverso il puro fascino del racconto. Nel primo capitolo della raccolta La Capria ricorda George Gissing, che trovò in Calabria la sua patria; e prosegue con Giovanni Comisso, il quale si interessava alle “variazioni della musica dell’esistenza”, incurante della storia, della politica, della società: “L’Italia di cui ci parla Comisso l’abbiamo distrutta” e  lui ne è l’ultimo cantore: “Seducente Italia, mirabile terra simile a certe stoffe di seta che non si sa se siano più belle sul dritto o sul rovescio. Terra senza tregua bella, senza pausa pronta a sorprendere e incantare”. C’è Giuseppe Ungaretti che ci insegna come la poesia sia capace di  “convertire la memoria in sogno”, e Spaccanapoli gli appare come “una melagrana aperta dalla troppa maturità” nel cuore antico di Napoli.

Nei confronti di Curzio Malaparte non nasconde la sua antipatia, che spiega così: “Se non fossi stato quel ragazzo critico e intransigente fino alla noia, che allora io ero, sarei certo stato affascinato da quell’incantatore di serpenti che lasciava supporre chissà quale ‘vita inimitabile’ dietro le sue ‘prede di guerra’”. Riferisce di Norman Lewis autore della straziata “Napoli ‘44”, e dell’americano John Horne Burns, dissolto nel nulla, che nel romanzo “Galleria” ci lascia l’impareggiabile affresco di un’epoca irripetibile: “A Napoli il mio cuore si spezzò, e non fu per una ragazza, ma per un’idea”. Rievoca ancora Cesare Brandi che descrive il golfo come “la porta celeste dell’Italia”; e persino Guido Ceronetti “sempre all’altezza della catastrofe di cui parla”.  Ma è nella seconda parte del libro che La Capria ci conduce in prima persona nei “sacri siti”: Positano, la costa di Sorrento: “Era una bellezza assoluta e grandiosa, prometeica, e al di fuori della portata dell’uomo”. Ischia, Procida, la sua cara Capri a cui dedica pagine struggenti e indimenticabili: “Non ci è permesso, ahimè, tornare nei luoghi che abbiamo amato, essi non sono più quelli della prima volta, non saranno mai più quelli”. Insieme ai posti rivivono i personaggi da lui incontrati prima del ‘disincanto’: “La torre di Clavel”, che sorgeva su base pentagonale sopra su un piccolo promontorio roccioso e che lo svizzero trasformò nella propria abitazione e cenotafio.

Il ballerino russo Leonide Massine che aveva comprato Li Galli (due delle Sirenuse) e in tanti vi affluivano in quegli anni, da Eduardo a Franco Zeffirelli, a Diaghilev il quale portò al Teatro San Carlo i Balletti Russi con le scene di Picasso! Ed ecco Ischia ‘virgiliana’, la graziosa Sant’Angelo, e Forio ove il buon vento spinse Auden, come prima di lui Corot, Böklin, Ibsen, Buchner, Capote. E poi Procida, e il giardino dell’Eldorado in cui il giovane Raffaele incontra Elsa Morante. Infine l’isola “dove la Natura e la Bellezza si incontrano, dove il Mito e la Storia si parlano ancora. A Capri c’è la Villa San Michele di Axel Munthe, in “stile romantico saraceno” dove era stata ospite l’estrosa marchesa Casati con una gazzella dorata al guinzaglio e un pappagallo azzurro dentro una gabbia: “Era questo il teatrino caprese che piaceva tanto ai vip di una volta”. Ma soprattutto c’è la sua casa, in cima a centocinquanta scalini, avvolta dall’anfiteatro del Monte Solaro: “La notte passa col suo corteo di stelle come il Rex punteggiato di luci nel film di Fellini, portando via con sé il desiderio della vita che poteva essere, e dei sogni mai realizzati”. Poi il monte divampa in un incendio forse doloso, tutta la vegetazione ridotta in cenere.

La nostalgia di cui il libro è intriso, viene proposta come unico antidoto alla bruttezza: “Oggi la funzione del ‘nostalgico’ è quella di ripetere ostinatamente ai disincantati com’era pulito il mare quand’era pulito, com’era bella la giornata quand’era bella, e com’era vivibile la città quand’era vivibile”. La chiarezza dell’acqua di Posillipo è “simbolica, è un momento creativo della memoria che invoca una possibile rigenerazione. E una possibile riparazione”.


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