La poesia di Osip Ėmil’evič Mandel’štam (Varsavia, 15 gennaio 1891 -Vladivostok, 27 dicembre 1938) è un miracolo. E’ un miracolo per la sua bellezza, per la sua formidabile energia letteraria e civile, per il suo coraggio di opporsi alla dittatura dei potenti. E’ un miracolo perché, cancellata dalla memoria russa – insieme alla vita del poeta – dal regime di Stalin, si è in parte salvata grazie alla capacità mnemonica della moglie Nadežda, che la conservò per i posteri. Mandel’štam non fu perseguitato solo perché si oppose a Stalin: nato in una famiglia ebraica di Varsavia, a soli vent’anni fu costretto a convertirsi al cristianesimo metodista per iscriversi all’università, interdetta agli ebrei. La sua poesia è una luce nell’oscurità che avvolge ancora la civiltà. Senza spostarci con la mente nei paesi in cui il concetto di libertà è una chimera, se pensiamo che all’Expo di Milano 2015 numerosi attivisti, poeti e artisti sono stati bollati – e pubblicamente additati – dal governo italiano come “persone sgradite alle istituzioni” a causa del loro impegno umanitario e civile (fra di esse Dario Picciau e io), non possiamo non renderci conto di come la libera espressione degli scrittori, dei poeti e degli artisti sia l’ultima, fragile garanzia per la libertà di tutti. Je suis Mandel’štam!
di Osip Ėmil’evič Mandel’štam (trad. di Roberto Malini)
Non scrivo con il sangue tabacco del crepuscolo,