Lo scenario geo-politico internazionale attuale: tra bombardamenti, annunci, smentite, scuse, profughi e rifugiati abbiamo ascoltato l’opinione del portavoce per il Movimento Cinque Stelle Carlo Sibilia
È di pochi giorni fa la polemica mediatica scatenatasi in seguito a una presunta fuga di notizie che ipotizzavano un più o meno imminente intervento militare italiano in Iraq. Matteo Renzi ha dichiarato: «La decisione non è presa. In linea di principio che si possa intervenire con le armi in certe situazioni è un dato di fatto ma la situazione irachena non ha queste caratteristiche almeno per il momento». Non spiega però quali sono “queste caratteristiche”. Esistono davvero dei motivi che giustificherebbero un intervento militare italiano in Iraq?
Le decisioni relative agli interventi militari, di qualsiasi genere, devono passare tutte per il Parlamento, come il premier ben sa, o almeno ce lo auguriamo. C’è un articolo della Costituzione che parla chiaro e ci sono anche dei rapporti di forza con gli alleati. Il tutto si traduce in una scelta politica: se vogliamo essere subordinati agli alleati oppure, rispettando l’articolo 11 della Costituzione, far valere la nostra sovranità. Io ho l’impressione che abbiamo appaltato la nostra politica di difesa agli Stati Uniti che la controllano molto facilmente attraverso quella poi, unica, dell’Unione europea.
Il 3 ottobre a Kunduz, in Afghanistan, è stato bombardato un ospedale della ong internazionale Medici senza frontiere. Il presidente degli Stati Uniti ha presentato le sue scuse ufficiali a Msf e sembra aver ammesso che ci sia stato un errore. Se Obama si è sentito in dovere di ammettere pubblicamente che si è trattato di un errore vuol dire che potenzialmente poteva anche non essere così. È legittimo bombardare un ospedale se si pensa che all’interno ci siano dei terroristi?
Secondo me è proprio illegittimo bombardare. Punto e basta. Quando si tratta di strutture civili men che meno. Non siamo nuovi a questo tipo di accadimenti, quando si è in guerra è difficile riuscire a essere selettivi, non esistono le bombe intelligenti come ci vogliono far credere. Io credo sia stato un errore molto grave, che qualifica quella che è l’azione internazionale da parte degli Stati Uniti ma anche di tutte queste potenze aggressive dalle quali l’Italia si dovrebbe distanziare. Bombardare un ospedale civile non è un errore che può essere cancellato con delle semplici scuse pubbliche del presidente Obama, ma è qualcosa di più. È un errore che certifica la crisi di un modello politico, che è il modello imperialista americano e della Nato.
Durante la conferenza stampa indetta per annunciare il piano francese di intervento in Siria, Hollande ha dichiarato: «è lo Stato Islamico che fa fuggire coi suoi massacri migliaia di famiglie». È davvero lo Stato Islamico la ragione di questi immensi flussi migratori?
La causa è una situazione di instabilità che non è imputabile a un solo soggetto, l’Isis, che tra l’altro non si è generato in completa autonomia. Tutti sanno, perché diverse fonti giornalistiche internazionali hanno riportato la notizia relativa al fatto che molti di questi miliziani erano in addestramento nel 2009 in alcuni campi al confine con la Turchia e proprio dentro questo Paese. La Turchia che già fa parte della Nato. Molti miliziani sono stati addestrati per far parte della Free Syrian Army e poi hanno cambiato casacca passando con l’Isis. Questo perché c’è stata una gestione pessima della crisi da parte di tutti gli alleati internazionali. Assad è stato lasciato colpevolmente solo e ha reagito, chiaramente, in malo modo.
La serie di fattori va sommata per determinare la causa delle forti migrazioni siriane. Oggi voler far passare l’Isis per la causa unica, scatenante della migrazione di massa dei siriani è semplicemente riduttivo ed è una cosa che va bene per le masse non per chi pensa.
La verità è che con la guerra si guadagna tre volte. La prima, quando si vendono le armi a chi poi farà la guerra. Ed è quello che è successo tra Italia e Siria, verso cui siamo stati tra i maggiori finanziatori a livello europeo di armamenti. La seconda, quando scarichiamo le bombe e costringiamo queste persone a spostarsi. La migrazione di grandi flussi oggi viene gestita come un business a livello economico dall’Unione europea e nessuno si indigna. La terza, quando finito il conflitto, cosa che in genere viene determinata con una massiccia azione militare internazionale quando ci si è ben spartiti le fette della torta, si pensa alla ricostruzione del Paese.
Dire che si va a bombardare perché ci sono i terroristi è una scusa che in genere inventano le potenze che poi lì vanno a lucrare.
Esistono le azioni, i rapporti ufficiali, le notizie rese pubbliche e quelle secretate. Quale ruolo svolge l’informazione italiana e internazionale in queste situazioni che non riguardano solo la politica, l’economia o la strategia militare bensì la vita di intere popolazioni?
L’informazione in questi casi ha una grossa responsabilità. Bisognerebbe approfondire molto di più e tenere ben in mostra quelle che sono le vere cause che portano ai conflitti bellici e poi parlare anche di conseguenze.
Non si cita mai il fatto che a oggi tra i 40 e i 50 milioni di barili di petrolio vengono contrabbandati dall’Isis verso l’Europa. «The Guardian» ha condotto delle ricerche e fatto dei report giornalistici che dimostrano come molte delle conseguenze della guerra sono dei veri e propri introiti derivanti dal mercato nero di petrolio, di armi, di vite umane.
È necessaria una assoluta indipendenza da parte dei reporter, staccandosi, col rischio probabile anche di diventare impopolari.
Oggi l’opinione pubblica viene spinta a credere che tutto deve essere fatto affinché venga sconfitto l’Isis. Noi vogliamo che sia così, che il pericolo terroristico sia scongiurato, ma senza dimenticarci chi l’ha creato e chi fino a oggi non ha fatto niente o peggio, in certe situazioni, è stato complice della sua crescita e del suo stabilizzarsi.
Dal 2001, volendo far partire la lotta al terrorismo con l’attacco alle Torri gemelle, sono stati spesi 4.400 miliardi di dollari e come risultato abbiamo che non solo il terrorismo non è stato debellato ma sono aumentate fino a 40 le sigle delle organizzazioni terroristiche.
C’è proprio un approccio sbagliato e di ciò l’informazione deve tenere conto perché o ci dicono loro la verità oppure non la sapremo mai.
In un’intervista alla CNN l’ex primo ministro britannico, Tony Blair, ha detto: «Ovviamente non si può dire che chi di noi ha rimosso Saddam nel 2003 non abbia responsabilità per la situazione nel 2015». Secondo lei quale può essere il motivo di queste ammissioni fatte solo oggi?
A distanza di diversi anni, circa 12, è più semplice dire la verità. Dirla nel momento in cui si stava perpetrando questa ingiustizia sarebbe stato impopolare, forse non avrebbe portato a delle scelte fatte. L’ammissione da parte di un rappresentante di una delle potenze che all’epoca spinsero per la deposizione di Saddam ci fa capire quello che dovrebbe essere il ruolo dell’informazione e quante bugie vengono raccontate da chi ha il compito di governare dei popoli che, semplicemente, in guerra non ci vogliono andare. La cosa più interessante da fare, provocatoriamente, sarebbe quella di realizzare un referendum ogni qual volta bisogna decidere se bombardare qualcuno o meno. Chi lo fa senza l’assenso dei cittadini commette un grande errore.
E torniamo a quello che accade in Italia, a Roma. L’8 ottobre Marino si dimette. Il 10 tutti i media passano la notizia di questi presunti “diari segreti” del sindaco. Tra botte e risposte con il suo partito, il Pd, e manifestazioni pubbliche il 25 Marino dichiara: «Questa piazza mi dà la forza di andare avanti, non vi deluderò, la democrazia non si fa nelle stanze chiuse». Intanto nessuno sembra più interessarsi al processo per Mafia Capitale, ai Casamonica… Lei cosa ne pensa di tutta questa situazione?
Marino è in ogni caso anche lui un semplice burattino di un Sistema, che è quello del Partito democratico, delle Cooperative rosse, con a capo i mafiosi come Buzzi e Carminati, che finanziano direttamente e indirettamente i partiti, i quali ci fanno campagna elettorale e poi quando vanno al Governo restituiscono i favori. Questo è un sistema ormai acclarato, dal punto di vista politico è tutto accertato, non c’è bisogno di un processo, già lo sappiamo tutti.
Il fatto che oggi nessuno si dimetta, neanche messo davanti alle proprie responsabilità… e non stiamo parlando degli scontrini di Marino, che sono l’ultimo dei problemi, ma stiamo parlando di una città che è governata dalla Mafia e alla fine, tra tutti quelli che hanno partecipato ai funerali del boss dei Casamonica, l’unico che ha pagato è un tipo non mafioso, ovvero l’autista dell’elicottero che ha cosparso la folla di petali di rose. Questo è quello che è accaduto.
C’è una impunità diffusa, chiunque commette uno sbaglio non se ne assume le responsabilità, gente disonesta nei posti dove abbiamo bisogno di persone responsabili. I cittadini questo lo sanno ma ancora una volta la loro attenzione viene sviata dall’informazione.
Ancora una volta si parla di queste manifestazioni a favore del sindaco Marino, senza focalizzare sul fatto che non è lui il vero problema. Il Comune di Roma dovrebbe essere completamente azzerato. Tutte le persone che sono state lì opportunamente piazzate dai partiti dovrebbero trovare una diversa collocazione, che potrebbe essere magari quella della galera, e lasciar fare invece a chi ha un pedigree di onestà e può sicuramente garantire una gestione diversa e più corretta della città capitale d’Italia.
Carlo Sibilia, avellinese, classe 1986, è portavoce alla Camera dei Deputati per il Movimento Cinque Stelle eletto nella Circoscrizione elettorale Campania 2. È segretario della III Commissione (Affari Esteri e Comunitari), componente del Comitato permanente Agenda Globale post 2015, Cooperazione allo Sviluppo e Paternariato pubblico-privato, del Comitato permanente sulla politica estera e relazioni esterne dell’Unione europea. Insieme ai deputati Alessandro di Battista, Luigi di Maio, Roberto Fico e Carla Ruocco, da novembre 2014 fa parte del gruppo proposto da Beppe Grillo e incaricato di portare avanti un progetto di rilancio dell’Università italiana.