Il corpo senza vita di Tahir Elci (nella foto), il 49enne leader degli avvocati curdi, ucciso durante una sparatoria, racconta in un istante il clima che si respira da mesi a Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, e in tutto il sud-est del paese ai confini con Siria e Iraq, nelle città a maggioranza curda. Colpito durante una conferenza stampa da lui stesso organizzata, all’aperto: lo si vede qualche minuto prima di essere ammazzato, accanto alle telecamere delle tv. Poi alcuni lunghissimi, drammatici minuti di colpi e l’uomo finisce a terra, colpito da una pallottola, accanto alla cinquecentesca moschea Fathi Pasha, già crivellata di colpi. Durante gli scontri, è rimasto ucciso anche un poliziotto e feriti diversi giornalisti.
Tahir Elci era presidente degli avvocati curdi, un uomo che lottava per i diritti civili del suo popolo. A metà ottobre era stato arrestato per le sue dichiarazioni sul Pkk: “non è un gruppo terroristico – aveva detto – ma un’organizzazione politica armata con grande seguito”. Per la Turchia il Partito Curdo dei Lavoratori, fondato da Ocalan (all’ergastolo a İmralı) è invece un’organizzazione terroristica, e per lui erano stati chiesti sette anni di carcere con l’accusa di “propaganda terroristica”. Uscito dalla prigione non aveva fatto un passo indietro e aveva rivendicato la sua libertà di espressione: “Confermo le mie parole e ritengo siano vere. Le parole che ho detto non possono costituire un reato”.
Il commento di Erdogan dopo la barbara uccisione di Elci è stato molto chiaro: “Questo incidente mostra quanto sia nel giusto la Turchia nella sua lotta determinata contro il terrorismo”. Sono invece molto diverse le ricostruzione della dinamica. Per il ministro dell’Interno, Efkan Ala, l’avvocato “è stato raggiunto dal fuoco scambiato tra polizia e terroristi”, ma secondo l’Hdp – il partito filo curdo che alle elezioni di giugno fece perdere la maggioranza assoluta a Erdogan, costringendolo a elezioni anticipate – si è trattato di un “omicidio premeditato”. Subito dopo la diffusione della notizia, la gente è scesa in piazza gridando “Siamo tutti Tahir Elci”: in duemila a Istanbul dove la polizia ha disperso i manifestanti con gas e idranti, ma anche nella capitale, nella stessa Diyarbakir e nella città portuale di Izmir.
Elci è stato ucciso durante una conferenza stampa che lui stesso aveva convocato, insieme a una quarantina di attivisti, per leggere un comunicato sui danni causati a Sur dagli scontri tra manifestanti filocurdi e polizia. Le sue ultime parole sono state parole di pace: “Chiediamo che da questa area restino fuori la guerra, i combattimenti, le armi, le operazioni militari». Voleva parlare della drammatica situazione che sta vivendo il popolo curdo da diversi mesi, e che, fino a 15 giorni fa, ho documentato insieme a Ivan Grozny. Sia prima che dopo le elezioni del primo novembre, Erdogan ha imposto il coprifuoco in molte città curde. Coprifuoco vuole dire chiudere gli ingressi dei quartieri coi blindati per giorni e giorni. Significa che gli abitanti non possono né entrare né uscire dalle proprie case. Da fuori si sente solo il rumore di spari e bombe. Dentro gli scontri tra la resistenza curda e i militari. Ma a pagare sono soprattutto i civili. A Silvan si è arrivati anche a 10 giorni di coprifuoco consecutivi, con scuole e ospedali chiusi. Case ridotte in polvere dalle mitragliatrici. A Diyarbakir, nel quartiere di Sur, l’esercito turco usa blindati, bombe e Ak47, come se fosse in una zona di guerra, e non in centro storico. Negli ultimi tre mesi nel Kurdistan turco almeno 279 civili sono stati uccisi, duemila i “ribelli” ammazzati – secondo il governo – da luglio a settembre, 130 gli ufficiali dell’Esercito, migliaia i feriti. Ed è solo la coda di una stagione di tensione. Per la strage di Ankara – con 128 morti 500 feriti durante una manifestazione politica dell’HDP – i mandanti restano ancora oscuri: l’Hdp accusa il governo, per Erdogan il responsabile è l’Isis. Poi Suruc, ai confini con la Siria, altre 32 persone uccise. Il 5 luglio a Diyarbakir un altro attentato a una manifestazione politica dell’Hdp, mentre il presidente Demirtas si preparava a fare il suo discorso. Una strage sfiorata: 5 morti e 400 feriti. Ancora nessuna indagine indipendente riesce a stabilire chi siano i mandanti e chi gli esecutori delle stragi. Certo l’obiettivo colpito sono sempre i curdi.
E così la Turchia, invece che contro l’Isis, è impegnata nella guerra in casa. I curdi – unica forza a combattere e vincere contro lo Stato Islamico – vengono sistematicamente bombardati dall’esercito turco: in 6 mesi 2 attacchi a Isis e 200 contro il PKK. Erdogan considera terroristi quei curdi che invece sono stati l’unica arma terrestre per sconfiggere Daesh, l’unica forza che ha permesso di liberare Kobane in Siria.
Intanto Can Dundar e Erdem Gul – i due giornalisti arrestati e che ora rischiano l’ergastolo per aver pubblicato un’inchiesta che mostra il passaggio di armi dalla Turchia verso la Siria su convogli scorati dai servizi segreti turchi – scrivono all’Unione Europea: “Non chiudete gli occhi davanti violazioni della libertà di stampa in Turchia”. Non chiudiamo gli occhi nemmeno noi.