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Intercettazioni e no a bavagli. La censura dietro l’alibi della privacy

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Con la delega/carta bianca del Parlamento al Governo, il presidente del Consiglio, Renzi, ha ottenuto pieni poteri e mano libera per mettere paletti sulle intercettazioni e per imporre il silenzio alla stampa. Il discrimine sarebbe fra quelle penalmente rilevanti e quelle che non lo sono, benché possano avere valenza nei giudizi dell’opinione pubblica. Un altro colpo messo a segno dalla classe politica a vocazione auto-assolutoria che ha già portato a casa in giugno il voto della Camera su una liberticida riforma della diffamazione con  la rettifica senza commento anche se fasulla e con la tutela delle querele temerarie.

Questa volta, i Ponzio Pilato hanno scaricato tutti contenti al premier la patata bollente di norme salvacondotto per la loro condotta. Pronta la controffensiva del mondo dell’’informazione con il sostegno di Stefano Rodotà  che, però, rischia di battersi contro i mulini a vento.

Con alle spalle direttive di Strasburgo, pronunciamenti del Consiglio d’Europa, pareri della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle priorità del diritto/dovere di cronaca, ci sono le condizioni per aggirare gli ostacoli, contrastando la corsa alla censura in un Paese classificato nei posti di coda per la ridotta libertà di stampa. Come in altri Paesi occidentali, è tempo di abolire il diritto alla riservatezza anche nella sfera privata per il personaggio/amministratore/politico pubblico ad ogni livello, perché il re deve essere nudo, perché “i fatti privati di quanti ricevono il consenso della gente devono essere conosciuti (prof. Carlo Grosso, noto penalista)”, perché le cronache sui comportamenti del potere costituiscono un presidio della democrazia e un osservatorio sul funzionamento dello Stato; perché i potenti devono garantire di essere moralmente irreprensibili 24 ore su 24; perché chi chiede la fiducia degli altri, chi decide sui nostri risparmi, sulla nostra salute, di fatto sulla nostra vita, si assume il dovere di essere di esempio, di mettersi sotto la lente dell’opinione pubblica non soltanto quando gli torna comodo per la sua carriera e per la sua parte politica. Non basta che l’immagine pubblica sia inappuntabile e che appaiano in piazza come cittadini al di sopra di ogni sospetto..

Che ne sappiamo se abbiano una doppia vita scandalosa, e se l’on. Jekyl non diventi mr. Hyde in casa, nell’’ambito domestico, nei suoi uffici, e ci nasconda conflitti di interesse, vizietti, trastulli scandalosi, maltrattamenti dei familiari, molestie, spese folli, furbizie lobbistiche, evasioni fiscali, e chi ne ha più ne metta?

Nel mondo anglosassone la sfera  privata degli uomini pubblici viene passata al setaccio ancor più di quella ufficiale. I governi anglosassoni sono stati decimati dagli scandali amorosi, candidati alla Casa Bianca sono finiti nella polvere per i loro peccatucci. Persino in Giappone, un ministro delle finanze, Nakagava, è stato costretto a dimettersi per aver alzato troppo il gomito in un locale di Roma. In quei Paesi, i giornalisti sono più tutelati, la libertà di stampa è un valore assoluto. Chi trascina i giornalisti in tribunale pretestuosamente viene pesantemente sanzionato. Da noi, invece, le cause intimidatorie sono all’ordine del giorno. Anche se la stragrande maggioranza finiscono in una bolla di sapone, intanto mettono i bastoni fra le ruote  dell’autonomia di giudizio dei giornalisti.

Dietro il pretesto della tutela della riservatezza, non dei cittadini comuni ma di Lor  Signori, si nascondono i disegni di prevaricazione dei potenti: difendere i propri privilegi, imporre il silenzio su fatti e misfatti della cronaca quotidiana, mettere la sordina sull’intreccio fra politica e malaffare, tarpare le ali alla critica giornalistica.

Se viene ridimensionato a livello zero il diritto dei poteri pubblici alla privacy, la stretta di vite sulle intercettazioni e sulla loro pubblicazione finirebbe per girare a vuoto, perché diverrebbe superfluo imporre il segreto sulle “faccende strettamente personali  di soggetti non coinvolti nelle indagini”, e perché il ricorso alla querela temeraria potrebbe rivelarsi un boomerang  per il proponente.

Le inevitabili resistenze  possono essere prese in contropiede. Oggi i potenti hanno imparato a gestire il gossip e il sensazionalismo, a condividere online i fatti loto, allo scopo di raccogliere simpatie e solidarietà a buon mercato, raccontando di sé stessi, direttamente o indirettamente, sentimenti, storielle, delusioni, desideri, fobie, smancerie, pettegolezzi. A questo punto, non si può più frenare l’abbrivio a mettere in piazza tutto quello che bolle in pentola.

Romano Bartoloni segretario SCR


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