Nell’ambito della Settimana Europea di per la Riduzione dei Rifiuti(SERR) – che quest’anno (23/29 novembre) promette di diventare la più ‘social’ di tutte tramite l’hashtag #adottarifiuti, che invita a scattare una foto di rifiuti raccolti per gettarli nella differenziata – il commissario europeo all’Ambiente, Karmenu Vella, ha dichiarato: “bisogna fare di più con men, usare i nostri materiali in maniera più efficiente è la chiave per una transizione di successo verso un’economia circolare”. Peccato che il ciclo di vita di vita dei prodotti elettronici sembra assottigliarsi sempre più, un po’ come le dimensioni degli stessi.
Desiderio di esibizionismo, ostentazione del nuovo, voglia di essere i primi a possedere il nuovo oggetto del desiderio gioca il ruolo principale nel decretare “il fine vita” dei nostri “appena un po’ vecchi” oggetti elettronici; più che la rottura degli stessi – che avviene di prassi appena un po’ dopo lo scadere della garanzia. Obsolescenza e/o disuso che sia i prodotti elettronici diventano presto rifiuti elettronici. Se nel 2000 si producevano circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, oggi – dati Nazioni Unite – siamo a quota 50 milioni, l’equivalente di otto volte il peso della piramide di Cheope. A conti fatti ogni abitante del pianeta produce in media 7 chili di immondizia tecnologica, quantità che potrebbe crescere nei prossimi tre anni di almeno un terzo. Come tutta l’immondizia soprattutto quella elettronica è diversamente distribuita a seconda della ricchezza e del grado di coscienza ambientale di ciascun paese. Se in Qatar ciascun cittadino produce 63 kili di spazzatura elettronica pro capite, in Germania 23 e in Spagna 18, un messicano genera solo (si fa per dire) 9 kg/pro capite, un brasiliano 7, e un malese 620gr.
Secondo L’Ufficio delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale – ONIDO, già nel 2016 i Paesi di nuova industrializzazione produrranno più immondizia elettrica ed elettronica di quelli industrializzati. La prospettiva non è delle migliori, inevitabilmente i problemi non possono che aumentare. Negli scorsi anni l’ONU ha lanciato il progetto StEP (http://www.step-initiative.org/index.php/Initiative_Principles.html) un programma con l’obiettivo di promuovere il riutilizzo, il riciclo e lo sviluppo delle competenze e delle tecnologie in materia di smaltimento e recupero dell’e-Waste, la spazzatura tecnologica appunto. Ruediger Kuehr, segretario esecutivo del programma ha – in più occasioni – sottolineato l’importanza di tener viva questa problematica nell’agenza politica internazionale. “Si tratta di una bomba ad orologeria”, ha ricordato. Se nei Paesi industrializzati – dove esistono legislazioni e tecnologie ad hoc – la bassa percentuale di riciclaggio elettrico ed elettronico è da attribuire ad una questione di sensibilità e profitti, nei Paesi in Via di Sviluppo mancano in primis le infrastrutture.
I nostri cellulari, tablet, fotocamere e pc hanno vita breve ma inquinano a lungo. Dentro c’è un po’ di tutto: piombo, mercurio, rame, cadmio, zinco ma anche argento, oro e platino. Si stima che circa il 70% dell’inquinamento da metalli pesanti sia causato da rifiuti elettronici. Solo negli USA ogni anno vengono prodotte circa 3,4 milioni di tonnellate di scarti dal mondo digitale e vanno aumentando. Solo il 40% dei computer, il 33% dei monitor e l’11% dei telefonini viene riciclato. Mentre gli americani si liberano ogni giorno di 142.000 pc e 416.000 dispositivi mobili. In Italia si stima vengano prodotti 14,6 chili per abitante di immondizia elettronica, ma i sistemi di gestione eco-compatibile sembra ne abbiano raccolti soltanto 4,3 chili, e il resto: dissolto? No. Sono finiti in canali alternativi. Operatori privati, prevalentemente intermediari, riciclatori, recuperatori di metalli e organizzazioni per il riutilizzo raccolgono, trattano gli apparecchi elettronici, perché comunque costituiscono una fonte di materie prime immediate, il problema è lo smaltiscono. L’Unep- il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, stima che venga riciclato solo il 10% dei 50 milioni di tonnellate prodotti ogni anno nel mondo. Circa il 13% della produzione europea di Raee viene inghiottita dagli inceneritori, mentre il 54% viene dirottato verso Cina, India e Africa (soprattutto in Nigeria e Ghana, la discarica di Agbogbloshie, un sobborgo di Accra è la più grande del mondo) e solo la restante parte è smaltita correttamente. 1,60 euro costa portare un monitor in Ghana o in Cina. Di solito smaltire uno schermo in un Paese europeo costa il doppio. Per questo motivo ogni anno vengono smerciati in Africa e in Asia dall’Italia circa 3 milioni di pezzi per un totale di 52.000 tonnellate l’anno. Si ipotizza che circa 155.000 tonnellate di spazzatura elettronica vengono esportate illegalmente ogni anno dall’Italia. Quando non riesce a essere esportato il Raee – che sta per Rifiuti elettrici ed elettronici – finisce sotto terra o in una qualche cava clandestina. Secondo Legambiente in Italia tra il 2009 e il 2013 le forze dell’ordine hanno sequestrato ben 299 discariche abusive di Raee.
Il 27 novembre 2015 a Roma, presso l’Auditorium del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, si terrà l’evento italiano di presentazione del rapporto “L’ambiente in Europa – Stato e prospettive nel 2015” (SOER2015), la relazione che l’Agenzia Europea dell’Ambiente predispone ogni 5 anni su stato, tendenze e prospettive per l’ambiente in Europa. Aprirà i lavori il ministro Gian Luca Galletti.