Giornalisti nel mirino. Perché fanno inchieste. Perché pubblicano libri scomodi. Addirittura perché vanno a fare interviste. Gli ultimi casi l’11 e il 12 novembre. A Roma, mercoledì 11, sono stati indagati dalla magistratura dello Stato Vaticano, Emiliano Fittipaldi, giornalista de l’Espresso, autore del libro, “Avarizia”, e Gianluigi Nuzzi di Mediaset, che ha scritto “Via crucis”: i due libri che hanno svelato gli scandali delle finanze vaticane, la vergogna dei privilegi di diversi cardinali e le loro “spese facili” con i soldi destinati ai poveretti, alle opere di carità e all’Ospedale del Bambin Gesù. I due colleghi sono indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede, ma ancora non si sa quali siano le imputazioni. In Vaticano, peraltro, non c’è l’articolo 21 che tutela la libertà di stampa come nella Repubblica italiana.
A Napoli, invece, giovedì 12 novembre, è stato addirittura sottoposto a fermo di Polizia giudiziaria l’inviato di Piazzapulita, Antonino Monteleone, “reo” di per aver intervistato Anna Scognamiglio, la giudice coinvolta nel caso De Luca. Una vicenda che, al momento in cui scriviamo, è ancora confusa, ma molto preoccupante.
Guai a toccare i potenti
Il segnale che viene da queste vicende sembra essere: chi tocca i fili del potere – sia esso politico, economico od ecclesiale – rimane fulminato. L’aria che tira ultimamente è quella di un’offensiva estesa contro la libertà di stampa e in particolare contro il giornalismo di inchiesta, sia nei media tradizionali sia sul web. Nel mirino finisce inevitabilmente il giornalismo più scomodo, chi continua a fare con perizia, onestà intellettuale e coraggio questo nostro mestiere. Gli strumenti delle intimidazioni ai giornalisti e ai media, specialmente a quelli meno strutturati e tutelati, va dalle querele temerarie – che sono in continuo aumento – alle vere e proprie minacce.
Il caso clamoroso di “mafia capitale” e le leggi bavaglio
Il caso più clamoroso di questa offensiva è stata la denuncia di ben 96 giornalisti – 78 cronisti e 18 direttori – da parte degli avvocati di alcuni imputati di “mafia capitale”, per gli articoli con i quali i colleghi e i loro media hanno raccontato le infiltrazioni del malaffare nella vita politica e sociale della Capitale. Questa inedita ventata contro l’informazione trova terreno fertile – a monte – nel potere politico-legislativo che sta cercando da tempo di far passare le “leggi bavaglio” sulle intercettazioni e sulla diffamazione. Il 5 novembre scorso, contro quelle norme in discussione in Parlamento, c’è stato un sit-in davanti al Tribunale di Roma promosso da Fnsi, Ordine dei giornalisti del Lazio, Associazione Stampa Romana, Usigrai, associazione Articolo21 e Comitato “NoBavaglio3”. Quando la libera informazione va in crisi il potere alza la cresta.
Da anni la libera informazione e i media tradizionali sono in crisi, e la stessa nostra categoria non ha certo brillato per indipendenza e per aver fatto da “cane da guardia” del potere, soprattutto in Italia. E questa debolezza, probabilmente, non è estranea all’escalation contro di noi. Resta di fatto che ogni volta che si svelano le malefatte dei potenti, i primi a finire nei guai sono i giornalisti che quelle malefatte raccontano invece di coloro che le hanno combinate.
“Quando il giornalismo d’inchiesta scoperchia scandali e segreti che il potere, anche quello temporale del Vaticano, vuole tenere nascosti, quel potere si difende, contrattaccando. Ma è un rischio che fa parte del mio mestiere”, ha commentato, minimizzando l’accaduto, Emiliano Fittipaldi. Che poi ha aggiunto: “Se uno fa bene il proprio mestiere, rispettando le regole, rispettando la deontologia, non ha nulla da temere”.