di Franco Pittau, del Centro Studi e Ricerche IDOS
Molti gli aspetti, spesso controversi, analizzati dal Dossier Statistico Immigrazione 2015 realizzato dal Centro studi e ricerche Idos in partenariato con Confronti, la collaborazione dell’Unar e il sostegno dei fondi 8 per mille della Tavola valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi.
Nel 2014 i migranti nel mondo – 232 milioni nel 2013, secondo l’Onu – sono giunti probabilmente a sfiorare i 240 milioni, con un’incidenza superiore al 3% sulla popolazione mondiale.
In Italia la presenza straniera regolare residente ammonta a 5.014.437 (l’8,2% della popolazione residente). Il 59,4% degli immigrati vive al Nord, il 25,4% al Centro e il 15,2% nel meridione. Analizziamo qui alcune delle questioni chiave dell’immigrazione che sono state approfondite nel Dossier Statistico Immigrazione 2015.
Lavoro
Sono 2.294.000 gli immigrati occupati in Italia. Il loro tasso di occupazione è più elevato di qualche punto percentuale rispetto agli italiani (58,5% contro 55,4%). La ripartizione per settori (agricoltura 5%, industria 29,2% e servizi 65,7%) denota una maggiore concentrazione in agricoltura e nell’industria, per le quali l’Italia ha sentito un bisogno di manodopera supplementare.
I lavori svolti sono a più alto rischio infortunistico e in effetti gli immigrati incidono per il 14,4% sul totale degli eventi infortunistici, mentre rappresentano solo il 10,3% degli occupati. Maggiore per essi è anche il rischio di perdere il posto di lavoro, specialmente nell’industria. Tra gli immigrati, vi sono 466mila senza lavoro su un totale di disoccupati di circa 3 milioni: il loro tasso di disoccupazione è quindi del 16,9%, mentre quello degli italiani è del 12,2%. Se poi si tiene conto anche dei 155mila immigrati ai quali nel 2014 non è stato rinnovato il permesso di soggiorno, con il conseguente obbligo di ritornare ai loro paesi, si comprende quanto la situazione sia stata negativa. Si direbbe che gli immigrati sono un ammortizzatore sociale a beneficio dei lavoratori autoctoni, in quanto subiscono per primi l’andamento negativo del mercato.
Anche per questo motivo essi hanno accentuato la propensione a operare come lavoratori autonomi e piccoli imprenditori. Nel 2014 ben 524.674 aziende hanno fatto capo a persone nate all’estero. In questi anni di crisi, per gli italiani le aziende cessate sono state più numerose di quelle costituite ex novo, mentre per gli immigrati le aziende sono aumentate annualmente di qualche decina di migliaia di unità. È maggiore la loro resistenza alla durezza di questa fase congiunturale, come anche risalta la loro capacità di individuare nuovi spazi di inserimento, sorretta da una notevole dedizione personale. Gli ambiti di intervento sono ancora, per lo più, marginali nel contesto dell’economia nazionale, ma è aperta la via a un livello più elevato di protagonismo imprenditoriale e ciò è tutt’altro che indifferente per il futuro dell’Italia, alla cui produzione di ricchezza contribuiscono nella misura di circa il 9%.
Se si tira un bilancio tra i costi che comportano per le finanze pubbliche e gli introiti che assicurano in termini di tasse e di contributi previdenziali, il risultato è favorevole per le casse dello Stato (3,1 miliardi nel 2013). Anche dal punto di vista economico la xenofobia, per quanto diffusa, è un’arma spuntata.
Cittadinanza
La cittadinanza, tenuto conto dei recenti sviluppi intervenuti alla Camera dei deputati nel corso del 2015, promette di diventare una realizzazione importante di questa legislatura perché, dopo anni di confronto andato a vuoto, sembra raggiungibile la riforma della normativa sulla cittadinanza a beneficio dei figli nati in Italia o dei figli ricongiuntisi da piccoli. Nessuna mediazione è perfetta, ma si tratta di un passo in avanti che avrà un impatto anche a livello statistico che, su questo versante, nel 2014 ha mostrato un maggiore dinamismo rispetto al passato.
Nel corso del 2014 le nuove acquisizioni di cittadinanza in Italia sono state 129.887, facendo registrare un ulteriore aumento rispetto al 2013 (100.712). La maggioranza dei casi è basata su persone che hanno maturato un’anzianità di residenza di almeno 10 anni. I casi di cittadinanza a seguito di matrimoni con cittadini italiani sono in diminuzione (i matrimoni misti nel 2013 sono stati meno di 20mila). Sono, invece, in aumento i casi di cittadinanza riconosciuta ai minori nati in Italia, al compimento del 18° anno di età. Nel 2014 i nuovi cittadini sono stati per il 49,1% donne, che invece sull’intera popolazione straniera residente incidono per il 53%. Anche nell’Unione europea a 28 (il dato è del 2013) si è verificato un incremento annuale delle acquisizioni di cittadinanza pari al 20%, raggiungendo complessivamente circa un milione di casi, per l’89% riguardanti cittadini originari di paesi non Ue.
L’Italia e l’Ue stanno diventando sempre più «globali». In Europa, su una popolazione di origine straniera di circa 50 milioni di persone, ad avere conservato la cittadinanza straniera sono 34 milioni, mentre gli altri 16 milioni sono diventati cittadini di uno degli Stati membri, ai quali portano in dote un bagaglio di lingue, culture, religioni e tradizioni diverse. In Italia quelli che hanno acquisito la cittadinanza nel corso di questi ultimi 40 anni possono essere stimati complessivamente attorno ai 700mila ma, come accennato, il trend sarà in crescita. Basandoci sui dati del 2014, si può prevedere nel corso di un decennio almeno un altro milione e 300mila nuovi cittadini, ma diverse centinaia di migliaia in più se diventerà legge la proposta approvata alla Camera dei deputati il 13 ottobre e che passa ora all’esame del Senato.
Pertanto, è coerente e promettente voler sostenere, per il bene dell’Italia, la simbiosi tra i cittadini autoctoni e quelli venuti da altri paesi e da altri continenti e la promozione di modelli di vita interculturali e interreligiosi a salvaguardia della pace sociale. In prospettiva, quando i cittadini italiani di origine immigrata saranno presenti in Parlamento con la possibilità di essere, direttamente e con maggiore efficacia, i rappresentanti delle esigenze delle loro comunità, sarà più agevole superare le restrizioni attuali, dovute a chiusure culturali e calcoli di partito, e pervenire al periodo della maturità.
Scuola
Nel mercato occupazionale gli immigrati superano, seppure di poco, un decimo del totale degli occupati. Lo stesso livello sta per essere raggiunto nelle scuole italiane, da quelle dell’infanzia alle secondarie superiori.
Bisogna tenere innanzitutto conto del fatto che è elevato il numero dei minori immigrati: 1.085.274. Di essi, 814.187 sono risultati iscritti a scuola nell’anno scolastico 2014-2015, con un’incidenza del 9,3% sul totale degli iscritti. Il ritmo di aumento si è attenuato, così come sono diminuite le venute dall’estero per ricongiungimento familiare (57.896 visti rilasciati). Sono diminuite anche le nascite di figli da entrambi i genitori stranieri (75.067), mentre nel passato si era andati oltre quota 100mila. Eppure queste nascite incidono per quasi un sesto sul numero totale delle nuove nascite registrate in Italia (503mila), in continua diminuzione.
Comunque, nel 2014, così come è intervenuto un aumento contenuto della popolazione straniera residente (93mila unità in più), sono aumentati di poco anche gli studenti stranieri iscritti a scuola (11.343 in più). All’interno di questa modesta variazione vi è, però, un aspetto di rilevante portata. L’aumento complessivo degli studenti stranieri è stato appena dell’1,4%, mentre quello degli studenti stranieri nati in Italia è stato invece dell’8,4%: questi ultimi sono 450.362, pari al 55,3% di tutti gli studenti stranieri. Sono una sorta di vivaio interno, ai quali molto opportunamente dedicherà la dovuta attenzione la nuova legge sulla cittadinanza. Il tempo ha smussato le spigolosità emerse ai tempi del “pacchetto sicurezza” (2009), quando si insisteva su rigide percentuali che gli alunni stranieri non avrebbero dovuto superare: la polemica di una volta ha perso di efficacia a fronte di questi ragazzi che sono pienamente italiani ma non ancora riconosciuti come tali.
Nell’anno accademico 2013/2014 le università italiane hanno registrato 69.176 iscritti di cittadinanza straniera su un totale di 1.640.956 studenti (la loro incidenza è stata del 4,2%). I paesi più rappresentati sono Albania (10.782 iscritti, pari al 15,6% degli universitari stranieri), Cina (7.028: 10,2%), Romania (6.615: 9,6%), Iran (2.815: 4,1%), Camerun (2.685: 3,9%), Grecia (2.253: 3,3%) e Repubblica di Moldova (2.056: 3%). Invece, i laureati stranieri nel 2013 sono stati 9.913 (incidenza del 3,3% rispetto ai 30.231 laureati complessivi.
Carcere e criminalità
Un altro aspetto dell’immigrazione, meritevole di essere affrontato, è quello relativo al binomio carcere-criminalità. La lunga storia dell’emigrazione italiana ci ha fatto amaramente conoscere come l’insediamento di chi va all’estero venga spesso paragonato a un processo maggiormente soggetto alla devianza. Anche in Italia, moltissimo nel passato e in larga misura ancora oggi, è diffusa la convinzione che gli immigrati siano più criminali degli italiani e che essi influenzino negativamente la società.
Le statistiche smentiscono questo pregiudizio. Nell’Unione europea le denunce complessive sono state 34.266.433 nel 2004 e 23.626.028 nel 2012, con una diminuzione del 31,1% nell’intero periodo (in una fase in cui ha influito molto negativamente la crisi economica).
Sul caso italiano i dati sono più articolati. Nel periodo 2004-2013 le denunce contro italiani, a fronte di una popolazione in leggera diminuzione, sono passate da 513.618 a 657.443 (+28%), mentre quelle contro stranieri, a fronte di una popolazione più che raddoppiata, sono diminuite da 255.304 a 239.701 (-6,2%). Questa evoluzione, pur lasciando margini a ulteriori progressi, nel suo complesso va commentata positivamente.
Gli immigrati, per il fatto di essere stranieri, non devono essere considerati necessariamente una popolazione destinata a essere rinchiusa in carcere. Così avviene in larga misura e bisogna chiedersi perché. Anche tra gli immigrati, come tra gli italiani, si trova una quota di persone che delinquono e anche una crescente criminalità organizzata. Ma la consistente presenza in carcere dipende principalmente dal fatto che gli immigrati finiscono dentro in buona misura per infrazioni alla complessa normativa sul soggiorno, come anche vengono fermati e trattenuti in carcere per accertamenti. Inoltre, rispetto agli italiani, essi dispongono di più scarsi mezzi per la propria tutela giudiziaria e possono fruire di meno delle misure alternative alla detenzione a causa dei minori supporti familiari di cui dispongono.
Al 30 giugno 2015 i detenuti stranieri in carcere sono stati 17.206, il 32,6% dei 52.754 detenuti complessivi nelle 198 carceri d’Italia. Il numero dei detenuti (sia italiani che stranieri) è in forte diminuzione rispetto ad alcuni anni fa, quando veniva superata in maniera abnorme la capienza regolamentare delle carceri e il trattamento riservato ai carcerati non assicurava quel minimo di dignità. Questo cambiamento ci è valso a evitare ulteriori condanne da parte della Corte europea dei diritti umani (tra l’altro, evitando anche i pagamenti risarcitori) e dando concretezza al concetto di «vivibilità della pena» (dal lavoro allo svago, alla cultura, alla socialità e alle esigenze religiose) e alla sua funzione risocializzante, come prefigurato nella Costituzione.
(pubblicato su Confronti di novembre 2015)