di Antonella Sinopoli
Con quale criterio possiamo meglio analizzare e capire il continente africano? Grazie ai suoi sviluppi nell’ambito della democrazia, del rispetto dei diritti umani, dell’applicazione di quelli civili e sociali? O nell’ambito dello sviluppo economico?
Democracy vs Development è il titolo scelto per un dibattito organizzato da The Africa Report in partnership con la Mo Ibrahim Foundation. Sede dell’incontro Accra, la capitale di un Paese, il Ghana, ideale – secondo gli organizzatori – per rappresentare un esempio africano di sviluppo accompagnato da un ormai lungo periodo di gestione democratica dello Stato.
Il concetto di “africanizzazione della democrazia” emerso attraverso il dibattito, apre molti punti di discussione. Su cosa si intende esattamente per democrazia innanzitutto – come ha detto Carlos Lopes, segretario esecutivo della Commissione economica per l’Africa dell’ONU -. Che sia “ampliare le possibilità di scelta e opportunità per i cittadini? In questo caso è lo sviluppo il suo fondamento e, a livello politico, la transizione può favorire la crescita, produce speranze, aspettative. Sì, il cambiamento rappresenta l’estensione della scelta ma non in tutti i contesti. Ecco perché direi che lo sviluppo è prioritario rispetto al resto”.
“Non si può parlare di democrazia africana come se fosse qualcosa di particolare e diverso dal resto del mondo” ha detto Mo Ibrahim – sottolineando che comunque in Africa, come altrove, “ci sono Paesi che fingono di essere democratici perché di fatto manca la partecipazione e manca il confronto”. Ma, con ironia ha chiarito: “non credo ci sia qualcosa che possa essere definito democrazia africana, così come non esiste un football africano, siamo persone normali“.
Democrazia dunque, ma per chi e per quale sviluppo?
Certo a guardare i dati riguardanti alcuni Paesi di aree assai diverse del continente – elaborati da GeoPoll – salta agli occhi una certa sproporzione, in molti Paesi, tra i “successi” a livello economico e lo sviluppo di servizi e infrastrutture negli ultimi anni e il livello di democrazia.
Il Paese ospitante il dibattito, il Ghana, viene presentato con un 67% a favore dello sviluppo e un 31% a favore della democrazia.
Per il Sud Africa la forbice è di 70% (sviluppo) e 25% (democrazia). La Nigeria, che nel 2014 ha superato anche il Sud Africa ed è considerata la migliore economia africana, nell’arco di tempo che va dal 1966 al 1996 ha subito 11 colpi di Stato, dei quali 5 andati in porto.
E l’Etiopia – nota per il carattere repressivo dei suoi Governi – secondo la World Bank e il Fondo Monetario Internazionale dal 1995 al 2010 ha di fatto dimezzato la percentuale della popolazione che vive in stato di povertà estrema. Ed è attualmente il Paese che cresce di più in tutto il continente (8.7% contro il 3.8% della media degli altri Paesi).
Sembra dunque ancora assai vero quello che diceva Jerry John Rawlings, al potere in Ghana negli anni Ottanta grazie ad un colpo di Stato.
Per molti di noi, se non per tutti, democrazia non vuol dire Carte che garantiscono libertà astratte. Essa implica, innanzitutto, cibo, abiti e un tetto. Cose in assenza delle quali non vale la pena vivere.
Bisogni concreti e basilari, certo. Ma garantirli a discapito delle libertà personali, di quelle di espressione o del potere di decidere le sorti del proprio Paese può essere ancora consentito?
Il ministro degli Esteri etiope, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha messo in guardia contro l’imposizione della democrazia: “La democrazia è un processo che cresce dall’interno, non può essere prescritto. Bisogna che sia un processo naturale. La sua imposizione può essere pericolosa. Dobbiamo essere noi a crederci, a credere quale sviluppo e quale democrazia vada bene per noi, altrimenti può fallire. Non abbiamo bisogno di un approccio paternalistico”.
Il ministro etiope ha detto anche che Democrazia e Sviluppo rappresentano l’alfa e l’omega. Ma quello che accade in mezzo all’alfa e omega? Questo noi dobbiamo chiedercelo. E indagare. Come ha sottolineato Arancha Gonzales Laya, direttore esecutivo dell’International Trade Centre: “quale democrazia, per quale sviluppo…”. Quel che accade in mezzo è anche la partecipazione negata, come dice Jay Naidoo a capo del GAIN (Global Alliance for Improved Nutrition), è anche il controllo della trasparenza delle istituzioni, è anche la disumanizzazione e la delegittimazione delle opposizioni.
“Ogni Paese ha il diritto di sviluppare la democrazia secondo la propria cultura” dice il presidente ghanese, John Mahama. Che la parola democrazia possa essere percepito come un concetto astratto a volte – e adattabile a discorsi e circostanze – è ovvio.
Comunque sia c’è chi oggi – come ha fatto Mahama nel suo discorso introduttivo al dibattito di The Africa Report – riprende le parole già dette da Robert Kennedy ormai quasi cinquant’anni fa. Assicurando che quello che ieri era un desiderio, una spinta a fare meglio, è oggi realtà.
“Il PIL non è sufficiente per indicare il benessere dei cittadini di un Paese. Occorre invece considerare fattori come la libertà, la dignità, la qualità della vita. E finanche la felicità. Oggi la democrazia ha reso possibile tutto questo, anche se essa non sarà mai un sistema perfetto perché ad applicarlo sono gli esseri umani”.