Ieri ho risposto a una mascalzonata – la riesumazione ad opera di Renzi di un mio vecchio sms privato per poter dire a Vespa che mi sarei dovuto dimettere da senatore e invece sarei rimasto per amore della poltrona- con quella che è parsa un’altra mascalzonata. “Renzi in mano a una donna”, il Giornale; “Succube di una bella donna”, il Fatto. Stefano Fassina mi ha invitato a scusarmi. Mi scuso per aver dato la stura a interpretazioni siffatte. Non mi interesso di fatti privati, non intendevo fare riferimenti “sessisti”, come dice il Corriere, nè mandare “pizzini”, come scrive Repubblica.
Intendevo reagire all’imbarbarimento della politica di cui, secondo me, il primo responsabile è Matteo Renzi. É il premier che risolve ogni contrasto politico in una battuta sferzante, che supera ogni difficoltà “spianando e asfaltando l’avversario”. É sua la macchina informativa, sui giornali e in rete, che amplifica dette battute fino a promuovere veri e propri linciaggi. Questo mi premeva dire nel post “Risposta agli insulti di Renzi”. Nel quale, certo, ho disegnato un profilo del premier. Quello di uno politico straordinariamente abile nel conflitto politico quotidiano, ma senza una visione del futuro, incerto quando si esce dalla partita a scacchi immediata, insicuro, e anche subalterno, davanti ad alleati emotivamente più solidi, come può essere una “donna bella e decisa”.
“Lui sa che io so” non era minaccia, nè voleva esserlo. Era la constatazione desolata di come Renzi prenda il caterpillar ogni volta che si sente in fallo, che qualcuno accenna alle fragilità che si celano dietro la maschera spavalda, talvolta arrogante, che ama indossare. Io so. So che anche Renzi aveva capito come la legge sulla scuola non fosse una buona legge -lo aveva persino detto in televisione- ma poi l’hanno convinto ed è passato in forza, imponendo la fiducia. So che sulla legge costituzionale ha spianato il Parlamento tre volte su ipotesi differenti e probabilmente contraddittorie. La prima prevedeva un Senato di Governatori e Sindaci, la seconda di Consiglieri-Senatori nominati dai Consigli regionali, la terza un’assise di Consiglieri, sì, ma in qualche modo indicati dal voto popolare. Questo so.
Ma non sono collettore nè diffusore di pettegolezzi. Anche se giornali mi usano per far affiorare, fin nelle prime pagine, insinuazioni da molto tempo disseminate in articoli maliziosi e titoli ammiccanti. Sono colpevole di quel che loro scrivono? In parte sì. Di nuovo ho sottovalutato il degrado nel confronto politico e mediatico nel nostro paese. E sottovalutando, ho provocato il cortocircuito. Di questo mi scuso, innanzitutto con me stesso. Per il calvario a cui mi sto sottoponendo.
Ribadisco, però, che tale degrado è conseguenza di una “narrazione” che troppo spesso non entra nel merito delle scelte né delle riforme. Perché preferisce dividere il mondo tra chi ama l’Italia e chi gufa, tra vincenti e perdenti, rottamatori e rottamati.
Da 19 mesi, da quando il 26 marzo del 2014, insieme ad altri lasciai cadere l’offerta di Renzi -detta in pubblico, davanti a senatori e deputati- di una possibile reiterazione del mandato, alla camera, in cambio della rinuncia al dissenso sulla riforma costituzionale- da quel giorno sono sottoposto a un vero e proprio fuoco di fila. Che usa la mia età, non più giovane ahimè, la carriera fatta in Rai -che da titolo di merito diventa colpa-, il mestiere del giornalista -che mi rende “visibile”- la stessa scelta di accettare la candidatura che mi offrì Bersani, come prove a corredo di una sentenza inappellabile: quest’uomo deve tacere, lasciare la scena, sparire.
Ho la pelle dura. So che l’intolleranza per ora la viviamo come farsa e non come tragedia, che il linciaggio per fortuna è solo mediatico, ma ho voluto dire basta. Spiegando che certe tecniche possono diventare e diventano un boomerang. Non per volontà o colpa di Mineo.