Arriva giovedì 26 novembre in libreria “Bergoglio sfida globale”, un libro che cerca di ricostruire le principali tappe del pontificato, dandone una lettura: rispondere alla sfida della modernità liquida, dell’integralismo e della tecno finanza con la Chiesa poliedrica, la Chiesa dei poveri, la Chiesa in uscita.
Non è certo un caso che il libro si apra con queste parole di Pier Pasolini Pasolini: «Da’ a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». […] Cristo non poteva in alcun modo voler dire: accontenta questo e quello, concilia la praticità della vita sociale e l’assolutezza di quella religiosa, da’ un colpo al cerchio e uno alla botte ecc. Al contrario – in assoluta coerenza con tutte la sua predicazione – non poteva che voler dire: distingui nettamente tra Cesare e Dio, non confonderli; non farli coesistere qualunquisticamente con la scusa di poter servire meglio Dio; non conciliarli; ricorda bene che il mio «e» è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o, se mai, contrastanti: insomma, lo ripeto, inconciliabili.”
Il grande intellettuale italiano sembra cogliere con decenni d’anticipo la cifra del pontificato di Jorge Mario Bergoglio: non Chiesa costantiniana, ma Chiesa conciliare, modello per cambiare la globalizzazione e salvarci dal pensiero unico della tecno finanza. E’ la Chiesa dei poveri di cui , alla fine del libro, si fa portavoce preconizzatore radicale e visionario ancora Pasolini: “se il papa andasse a sistemarsi in clergyman, con i suoi collaboratori, in qualche scantinato di Tormarancio o del Tuscolano, non lontano dalle catacombe di San Damiano o Santa Priscilla – la Chiesa cesserebbe di essere Chiesa?”
Il libro cede alla tentazione, pur ammettendone e sottolineandone la grossolanità, di organizzare la storia della Chiesa in millenni. Il primo alla luce dei padri della Chiesa, il secondo del paradigma d’autorità romano, e il terzo di un ritorno alle origini alla luce dei documenti del Concilio Vaticano II. Partendo di qui si cerca di analizzare il legame profondo tra quello di Francesco e il pontificato di Giovanni Battista Montini, connettendo Bergoglio al discorso di chiusura del Concilio e all’enciclica Ecclesiam Suam: un’enciclica che sembra il programma di papa Francesco. Se Paolo VI disse nella sua famosa intervista ad Alberto Cavallari che “la Chiesa deve essere poliedrica” papa Francesco ha detto esattamente lo stesso, ponendo le basi per l’unità dei cristiani: ma non solo. In occasione del recente sinodo sulla famiglia questa visione della Chiesa, non unità sotto il Papa ma “conversione del papato” che rovescia la piramide nel nome di diversità come valore e decentramento, oltre a un modello ecclesiale che rilancia concretamente la prospettiva di unità dei cristiani, ha offerto un modello per la globalizzazione che il sistema autoritario della tecnofinanza vuole autoritaria, uniformatrice, irriguardosa delle tradizioni, portando alla frantumazione dei popoli e ai fondamentalismi violenti.
Bergoglio dunque offre una risposta forte alla città civile e a quella religiosa, una risposta opposta a quella prospettata dalla modernità liquida, nel nome della modernità solida.
Le scelte ecclesiali del papa venuto dalla fine del mondo vengono presentate attraverso alcuni racconti: i viaggi in America Latina, a Cuba, negli Stati Uniti, l’enciclica Laudato si’ come chiave per superare il conflitto religioso-moderno nel nome di un reciproco riconoscimento di aver entrambi ceduto alla tentazione del dominio, e i due sinodi sulla famiglia, raccontati dalla relazione Kasper alle conclusioni del sinodo ordinario di poche settimane fa. Bergoglio dunque non è solo un leader ecclesiale, la sua sfida globale lo fa interprete delle ansie anche esterne alla Chiesa, ed è il grande sociologo Zygmunt Bauman l’interlocutore identificato nel libro per capire come la sua Chiesa aperta possa parlare anche agli agnostici, possa rispondere finalmente ai nipoti di Feuberbach e interloquire dunque con i non credenti. Bauman, autore di “vite di scarto”, è l’interlocutore privilegiato della Chiesa aperta di papa Francesco, e viene citato così al riguardo dell’agnosticismo: ” Certamente lo sono nel senso che le religioni e le Chiese in cui «ci sentivamo a disagio», ma che nonostante tutto ritenevamo di poter cambiare «dall’interno», erano differenti. […] Il disagio è scaturito dal trincerarsi di ogni Chiesa nella fortezza della propria ragione, dallo sbattere la porta della propria fortezza in faccia a tutte le altre ragioni – a tutto ciò che non era conciliabile con la propria ragione, oltre che a tutti quelli che dell’infallibilità e dell’assenza di qualsiasi macchia di quella ragione non erano convinti – e, infine, dalla compattezza nel negare a un dissidente il diritto di obiezione e nel disprezzare il diverso: nell’umiliare e nel bandire, e persino nell’annientare chi pensa o crede in modo non conforme. Sopra la porta sbattuta di quella fortezza stava scritto: Se il mio Dio è unico, a me che ne sono convinto tutto è permesso contro chi di questa convinzione è privo.”
Ecco che Jorge Mario Bergoglio è un leader globale che porta il sud del mondo nel paradigma globale dal quale tutti i poteri lo avevano espulso, che demitizza il papato (proseguendo l’opera avviata da Benedetto XVI) per fare del potere un servizio e non come vorrebbe la tecno finanza una cricca di approfittatori. Anche con lo stile, tratto rivoluzionario di un pontificato che non è fine a sé stesso: «Una religione senza grandiosità né fasti e che non si esprime nella lingua misteriosa e sacra degli apostoli, sembra ormai diventata un partito politico come tutti gli altri».. La profezia di Alain Daniélou, scagliata contro quel Giovanni Paolo II che andava in giro a stringere mani come un qualsiasi candidato alle presidenziali Usa, non sembra aver trovato conferme nell’incredibile successo globale di papa Francesco, che oltre a stringere mani come un qualsiasi candidato americano, usa scarpe ordinarie, si porta la ventiquattrore in aereo, gira in utilitaria, ha eliminato i crocifissi d’oro, ha ridotto all’osso i paramenti. Dopo essersi presentato come abbiamo detto, Jorge Mario Bergoglio ha aperto il suo pontificato esclamando: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri» e ha creato una nuova lingua franca, il bergogliese, con la quale riesce a comunicare con tutti: poveri di spirito e poveri di cultura, poveri di tasca e poveri di futuro, perché tutti devono capirla, senza bisogno di interpreti. Ha scritto al riguardo Raniero La Valle: «I neologismi servono al papa per dare conto di una realtà che va oltre le parole che fin qui l’hanno espressa, op- pure gli servono per forzare a nascere una realtà che ancora non c’è o non si vede, o per suscitare un’attesa e una speranza ancora non osate»9. Forse è anche per questo che ha richiamato in piazza a Seul una folla superiore ai cattolici lì residenti. La lingua misteriosa alla quale si è riferito Alain Daniélou è stata sostituita dal mistero di una lingua senza misteri, che elimina mandarini e interpreti.”
La sfida globale di Bergoglio ci riguarda tutti.