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Attacco a Parigi. Come contrastare la guerra urbana dell’integralismo arabo?

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Questa Terza guerra mondiale in cui stiamo precipitando non ha una vera matrice religiosa, non è la millenaria crociata tra cristiani e musulmani, non è neppure la trasfigurazione sanguinosa dell’eterna lotta tra il ricco Nord del mondo e il Sud, povero e sfruttato, tra Oriente ed Occidente, tra ex-colonie e antiche potenze colonizzatrici.

E’ un’anomala guerra politica ed economica tra nuove e vecchie potenze detentrici di risorse energetiche e di enormi capitali finanziari, un “Conflitto 2.0” con l’uso sofisticato dei social network; una guerriglia urbana finanziata da poteri occulti che dimorano tra le potenze arabe ricche e custodi di un integralismo fuori dal tempo e, soprattutto, tetragoni a qualsiasi cambiamento istituzionale verso forme di democrazia moderna.

E’, purtroppo, anche la nemesi delle due insensate guerre contro l’Iraq (strumentalmente capitanate dagli Stati Uniti e i suoi alleati dagli inizi degli anni Novanta), dell’occupazione manu militari dell’Afghanistan e della disgregazione del quadrante mediorientale (Siria, Libano, Iraq, Kurdistan turco-iracheno-siriano, Palestina), artificiosamente disegnato sulla carta geografica dalle due potenze coloniali, Francia e Gran Bretagna, con il deleterio “Accordo Sykes-Picot” del 1916 per spartirsi le ceneri dell’Impero Ottomano.

Si tratta, insomma, di uno “scontro delle civiltà”, come preconizzava nel 2000 il contestatissimo sociologo americano Samuel Huntington e della fine del “sogno europeo”, come analizzava l’inascoltato storico Walter Laqueur nel suo “Gli ultimi giorni dell’Europa”.

Alla fine il salto di qualità militare è arrivato. Il terrorismo islamico integralista ha alzato il livello della sua azione, passando da una strategia basata sull’organizzazione tipo “lupi solitari” a quella dei “gruppi di fuoco”, tipica espressione della guerriglia urbana.

A due settimane dal Summit mondiale di capi di governo e di stato sul Clima (dal 30 novembre all’11 dicembre con 195 delegazioni attese), due settimane dopo l’attentato all’aereo russo in volo da Sharm el Sheikh e subito dopo le bombe a Beirut, Parigi diviene il campo di battaglia della Terza guerra mondiale.

Di venerdì 13, giornata cabalisticamente infausta in Occidente, giorno di preghiera per gli islamici, è scattata “l’ora X”. Altra strana coincidenza: una settimana fa, per la prima volta nella sua secolare storia di difesa dei diritti universali, la Francia ha decretato con una discussa sentenza della Corte di Cassazione il divieto di qualsiasi forma di propaganda e campagna di mobilitazione per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (il movimento internazionale “BDS”), contro i prodotti commerciali, intellettuali e culturali provenienti da Israele, ritenuto un paese razzista e oppressore nei confronti del popolo palestinese.

Parigi, dunque, come la Beirut degli anni Settanta/Ottanta. Parigi brucia ancora dopo il Gennaio di sangue, le stragi a Charlie Hebdo e al supermarket koscher. La regia non è lontana dalla capitale francese. L’ISIS ha subito messo il cappello sul nuovo episodio di questa “Strategia della tensione 2.0”, fatta di attacchi multipli nei luoghi simbolo della vita collettiva (bar, ristoranti, locali per spettacoli, stadi, musei), con tecniche diverse (dalle sparatorie, alle esecuzioni, alle bombe-kamikaze) e sempre riversando sul WEB proclami, invettive, rivendicazioni e chiamata alle armi, alla “guerra santa”.

Gli obiettivi, i luoghi, le tecniche si sono affinate e, purtroppo, continueranno con rinnovata ferocia per colpire al cuore l’Europa, colpevole di essere troppo liberale, solidale, inclusiva, multietnica e multireligiosa. I target “operativi” sono chiari: colpire al cuore gli “infedeli”, fare stragi sempre più cruenti, instillare il terrore tra i giovani (i più reattivi contro le ingiustizie e i più disponibili alle “diversità”), tra le famiglie: rinchiudere le persone nelle loro case e aumentare il livello di intolleranza razzistica e religiosa. Far scattare misure eccezionali, restrittive per le libertà individuali e collettive.

Diversamente dal periodo buio della “Strategia del terrore” nei nostri “Anni di piombo”, quando dietro ai gruppi terroristici si nascondevano anche le mani sporche dei poteri occulti e dei servizi segreti deviati, oggi lo scontro non è politico tradizionale, ma espressione di uno “scontro di civiltà”. La religione è una scusante, un collante per i “disperati delle banlieu”, delle periferie e per gli esaltati senza futuro che si sfogano sul WEB, che a volte si trasforma in impegno terroristico concreto, con i battaglioni di giovani “jahdisti” europei itineranti tra Siria Iraq, che poi ritornano indisturbati in Europa per esportarvi una guerra totale.

Negli Anni di piombo, il collante era la lotta allo stato capitalistico, borghese, con stragi nelle piazze, sui treni e gli aerei, uccisioni mirate contro “simboli” del potere: magistrati, poliziotti, politici, giornalisti, sindacalisti.

La risposta fu quella di un affinamento delle tecniche di intelligence e polizia, oltre al coinvolgimento delle classi sociali e generazionali a scendere in piazza e a difendere gli spazi democratici. A partire della seconda metà degli anni Settanta si formarono alcuni gruppi speciali che analizzarono senza prevenzioni ideologiche la natura stessa del terrorismo rosso e nero. Uno degli artefici di questa strategia vincente fu il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che aveva inventato e affinato le sue tecniche di intelligence e di contrasto durante il periodo di comando in Sicilia contro le cosche mafiose. Per colpire al cuore il terrorismo brigatista, Dalla Chiesa ricorse all’uso degli infiltrati, della protezione dei collaboratori di giustizia, utilizzando un brain trust di alto livello. Furono adottate tecniche di antiterrorismo sofisticate, dalle intercettazioni allo studio dei testi dei documenti e della psicologia dei terroristi. Si colpì anche la “Zona grigia” dei collaborazionisti, di quanti sostenevano che i brigatisti erano solo “compagni che sbagliavano”, ma pur sempre figli della sinistra di classe e quindi giustificabili.

Ora si tratta di fare uno sforzo europeo di intelligence, coordinando settori specialistici e scambiando le informative, magari con un ruolo di egemonia operativa degli italiani, oggi i maggiori esperti del settore mediorientale.

Ma questa Terza guerra mondiale si potrà vincere a condizione che si ricerchino alleanze proprio con gli stati arabi, se questi al loro interno sapranno prendere effettivamente le distanze dall’integralismo islamico, come con molti sforzi sta facendo la nuova leadership iraniana. Quando i paesi arabi decideranno di ritenere Israele non più uno stato usurpatore della Palestina e non propugneranno la sua distruzione. Quando le divisioni tra sunniti e sciiti verranno ricomposte all’interno di una disputa teologica e non più anche tra fazioni armate. Quando il mondo islamico non necessariamente diventerà “occidentale”, ma saprà assimilare, secondo la sua cultura, le idee e le innovazioni sociali e legislative nate dalla rivoluzione francese. E quando l’Occidente abbandonerà le tentazioni egemoniche, la superbia intellettuale di imporre spartizioni geopolitiche in un “Grande gioco”, fatto di accordi finanziari, economici e di relazioni oscure tra élite oligarchiche e grandi corporation, a scapito della sicurezza e della pacifica convivenza dei rispettivi popoli.


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