Due anni dopo la strage di Lampedusa il sacerdote eritreo Mussie Zerai accusa la politica per non aver pensato a prevenire nuovi naufragi. “Già 3.000 vittime nel 2015: per evitarne altre serve un vero e proprio piano di evacuazione in Libia, Turchia e Giordania”
ROMA – “E’ finito il tempo delle parole ed è arrivato il tempo delle azioni. Ma le azioni non sono quelle che stiamo ascoltando nel dibattito politico, non sono gli hotspot o le quote. Siamo ancora fermi a mettere i cerotti, invece di prevenire le ferite: siamo ancora a raccogliere i cocci. Ma tutto questo offende la memoria di quelle vittime, in nome delle quali, si era detto: mai più”.
Due anni dopo la terribile tragedia del 3 ottobre a Lampedusa, che costò la vita a 368 persone, don Mussie Zerai, sacerdote attivista di origine eritrea e direttore dell’agenzia Habeshia, non nasconde la sua delusione per come i politici europei non abbiano saputo trovare una soluzione al dramma delle morti in mare. Nel secondo anniversario della tragedia, che scosse l’Europa, infatti si registra un nuovo numero record di vittime dei naufragi: 3000 secondo l’ultimo report dell’Oim.
Serve un piano per andarli a prendere al di là del mare
“Il dibattito di questi ultimi tempi si è tutto concentrato sul trasferimento di 120 mila profughi da un paese all’altro dell’Europa. Un numero ridicolo in confronto a milioni di persone costrette a fuggire dal loro paese e a rischiare la vita in mare o nel deserto – sottolinea Zerai – perché il punto è proprio questo: come prevenire che le persone siano costrette a percorrere vie illegali, ad esporsi al pericolo della vita? Di tutto questo negli accordi finali tra i paesi europei non c’è niente, nessuna azione di prevenzione e di protezione delle persone”. Secondo il sacerdote, da sempre punto di riferimento dei migranti eritrei che arrivano in Italia, quello che servirebbe è un vero e proprio “piano di evacuazione”. “Stabiliamo delle quote, va bene – spiega – ma allora andiamo anche a prenderli direttamente: in Libia, in Turchia o in Giordania. Perché dobbiamo aspettare che rischino di morire in mare o nel Sahara? Quest’anno abbiamo contato 3000 morti, un numero assurdo. Tutto ciò offende la memoria delle vittime del 3 ottobre. A Lampedusa – ricorda Mussie – Abbiamo sentito ripetere dalle istituzioni :mai più morti, mai più! Eppure ogni anno continuiamo ad allungare la lista dei morti nel Mediterraneo, dell’Egeo, del deserto. Nessuno ha fatto un programma di prevenzione”.
Gli hotspot? Delle trappole per profughi
Ma oltre a ciò che non è stato fatto, a spaventare il direttore di Habeshia è anche quello che nel frattempo è stato attivato, a cominciare dall’istituzione degli hotspot, i centri dove identificare e smistare i migranti al loro arrivo in Italia e Grecia:“delle vere e proprie trappole per i profughi”. “L’idea di questi centri mi preoccupa perché i profughi non hanno le informazioni necessarie per sapere come comportarsi – spiega – e molte cose non le sappiamo ancora neanche noi. Se agli eritrei e ai siriani, che normalmente si rifiutano di farsi identificare per continuare il viaggio verso nord, non verrà spiegato che possono essere trattenuti e portati nei Cie, ci saranno delle conseguenze. Serve, dunque, prima di tutto fargli una campagna di informazione sul loro futuro. Bisogna, però, che i governi spieghino anche come viene superato Dublino – aggiunge – e chi decide la destinazione finale dei profughi. I migranti decidono in base ai legami che hanno negli altri paesi, ma al momento della riallocazione in base a quali criteri si deciderà? Il legame parentale con un connazionale in Germania verrà tenuto in considerazione? Altrimenti è chiaro che sorgeranno altri problemi. Queste strutture sono un’altra trappola per i profughi”.
Don Mussie Zerai sarà a Lampedusa il 3 ottobre per la seconda giornata di commemorazione delle vittime organizzata dal Comitato 3 ottobre dal titol (ec)