Probabilmente a tanti piace vivere in uno Stato senza regole. I delinquenti hanno gioco facile e gli onesti subiscono. Un Paese senza regole è abbandonato alla violenza, alla sopraffazione e senza cultura e senza scuola diventa alla fine vittima dell’ignoranza e della miseria umana. In una Nazione di questo tipo prolifera la corruzione, prosperano le mafie e la criminalità d’ogni tipo. Ad essere onesti, l’Italia, ha leggi eccellenti, purtroppo spesso, sembra che si trasformi nel Paese dei balocchi, dove a prevalere è l’evasione fiscale, la legge del privilegio, dello scambio di favori, dell’affarismo senza scrupoli, del clientelismo, del nepotismo e della corruzione.
L’idea stessa che si possano commettere dei reati e farla franca o cavarsela con poco, incrina la credibilità del nostro sistema penale e la serietà delle nostre leggi sulla sicurezza, minando da una parte la fiducia dei cittadini nell’ordinamento giuridico e dall’altra nella classe dirigente. Considerati gli episodi d’inettitudine, inefficienza e corruzione ai quali abbiamo assistito negli ultimi anni, definire ingiustificato il discredito che ha colpito la classe dirigente italiana sarebbe un eufemismo. Privata di autorità la res pubblica, la classe politica è diventata ancora più arida. E questo, in un gioco perverso, ne ha accresciuto ulteriormente il discredito. In cima a tutto s’è aggiunta la richiesta sempre più urgente che la politica salvi l’Italia dal fallimento.
Se siamo seri nell’analisi dei fatti, come possiamo pensare anche solo per un attimo che, una classe dirigente come l’attuale, già di per sé poco efficiente, screditata e sconnessa dalla società civile, risolva problemi, che per altro in buona misura sono proprio di origine politica. Questa incapacità endogena ha contribuito a creare la cd. antipolitica e fatto sì che l’Italia non fosse più percepita come un Paese affidabile. A Roma, a detta dell’Autorità Anticorruzione, il 90% degli appalti dell’Atac (azienda di trasporti) viola le leggi in vigore con rilievi anche di natura penale. Il fenomeno, a nostro giudizio, non è solo romano. In una situazione catastrofica come l’attuale, uno dei rimedi imprescindibili per ridare qualche barlume di speranza alla Nazione è la riforma della macchina giudiziaria. La giustizia è un’infrastruttura vitale perché il tessuto produttivo del Paese possa modernizzarsi e recuperare quella competitività che è la pre-condizione per la crescita economica e sociale. La giustizia è uno degli snodi da cui passano la crescita e la competitività del Paese e, dunque, il funzionamento del sistema giudiziario rappresenta un tassello fondamentale per questo processo, in cui tutto il Paese deve impegnarsi.
La giustizia è l’istituzione fondamentale che fa da snodo a tutti gli interventi, perché ne garantisce l’efficace applicazione. Ogni iniziativa, normativa e legislativa, sarebbe inutile se non esistesse e non funzionasse un apparato in grado di garantire l’enforcement. La giustizia si occupa delle regole, che sono la condizione fondamentale perché si possa vivere con ordine in una collettività. Senza regole non c’è possibilità di vita comune, non c’è possibilità di promuovere una società ordinata in cui ciascuno, attraverso l’applicazione delle proprie potenzialità, può contribuire al benessere comune e, quindi, al bene generale del Paese. Le regole sono la condicio sine qua non per l’esistenza dello Stato democratico. Lo Stato è il presupposto perché i cittadini possano vivere in tranquillità e prosperità, possano fare il proprio lavoro, possano investire facendo affidamento su quel sistema di regole il quale, però, deve poter contare su un sistema di efficiente ed efficace applicazione.
Un Paese senza regole non può esistere. Un Paese in cui le regole sono inattendibili perché il loro enforcement non funziona è inaffidabile e non è credibile né all’interno né all’esterno dei suoi confini. Il funzionamento del sistema giudiziario non è tema che riguardi soltanto i magistrati, gli avvocati o gli operatori, ma è questione che ha rilevantissime ricadute sul sistema economico, politico e sociale. Se si opera in un contesto dove non c’è il rispetto delle regole, la meritocrazia non può nascere e il risultato è una mancanza di qualità che poi si riflette sull’andamento di un Paese totalmente abbandonato a se stesso e preda facile della criminalità d’ogni specie e genere.
Vincenzo Musacchio, Giurista e docente di diritto penale in varie Università italiane, Direttore della Scuola di Legalità “Don Peppe Diana” di Roma e del Molise