A 4 giorni dal voto in Turchia, viene ancora una volta calpestata la libertà di informazione, insieme al diritto dei cittadini di poter democraticamente scegliere tra le opzioni in campo che invece vengono oscurate.
La polizia turca ha occupato due televisioni di opposizione: durante la diretta gli agenti hanno preso il controllo della regia e hanno disperso con lacrimogeni e idranti i giornalisti che si opponevano. Hanno poi staccato i cavi per interrompere le trasmissioni. Subito dopo c’erano già due nuovi “amministratori” nominati dalla magistratura.
Bagun tv e Kanalturk, entrambe di proprietà del gruppo Koza Ipek, sono state commissariate con l’accusa di fare “propaganda terroristica” per conto dell’imam finanziere Fethullah Gülen, una volta alleato del presidente Recep Tayyp Erdoğan all’interno della destra turca, ora suo acerrimo nemico, accusato di guidare dagli Stati Uniti una rete di media e di ong definite “organizzazione terroristica”. Ma per le opposizioni questa è una decisione tutta politica per imbavagliare qualsiasi voce contraria al Capo dello Stato in vista delle elezioni di domenica, giorno in cui il presidente spera di riconquistare la maggioranza assoluta, persa a giugno con l’ingresso in Parlamento, per la prima volta nella storia, del partito filocurdo Hdp, che attorno a sé ha convogliato i voti anche dell’area sinistra sensibile alla lotta per le libertà civili.
“Ci censurano per influenzare le elezioni”, ha accusato in diretta il direttore di Bugun tv, Tarik Toros. Nell’ultimo mese le tv di Stato hanno dedicato all’Hdp soltanto 18 minuti di trasmissioni, il resto – 59 ore su 66 – è stato occupato da Erdoğan o dal suo partito Akp, alla guida del Paese da 13 anni. E questo avviene dopo decine di decisioni prese per limitare la libertà di informazione: il giorno stesso della strage di Ankara alla manifestazione pacifista, le autorità turche hanno vietato la diffusione delle immagini delle vittime, straziate dagli esplosivi. Twitter e Facebook sono stati bloccati come ai tempi della rivolta di Gezi Park a Istanbul. Nelle settimane precedenti, l’oscuramento di quattro canali tv digitali, l’arresto del direttore del giornale d’opposizione Today’s Zaman, Bulet Kenes, per aver scritto un tweet critico nei confronti di Erdoğan (“Sua madre si sarebbe vergognata del proprio figlio”), senza contare i licenziamenti di giornalisti ritenuti non abbastanza vicini al regime. Rischia due ergastoli – chiesti dal presidente in persona – Can Dundar, direttore del quotidianoCumhuriyet, principale organo di informazione dell’elettorato laico. Addirittura nel Sud nel paese, a Diyarbakir – capitale del Kurdistan turco – le autorità hanno arrestato due ragazzini di 12 e 13 anni per aver strappato dei poster con la foto del presidente e ora rischiano fino a 4 anni di carcere.
E ora quest’altra stretta contro i media indipendenti, ennesima escalation nei giorni in cui Angela Merkel, ricevuta a Istanbul da Erdoğan, si dice pronta ad accelerare il processo di adesione della Turchia all’Unione in cambio dell’aiuto di Ankara nella gestione dei profughi siriani, in modo da alleggerire il peso per l’Ue, proprio mentre il Paese assomiglia sempre più a un regime dove la stampa è accettata solo se fa da gran cassa al presidente, davanti agli occhi di un’Europa quasi silente di fronte a elezioni anticipate che di democratico hanno ben poco. “Comprendiamo le ragioni di opportunità che ispirano l’eccessiva prudenza dell’Ue, ma questa prudenza non può sconfinare – come sta accadendo – in opportunismo”, commenta Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, che chiede al contempo agli organismi internazionali della professione di inviare una delegazione per vigilare sulla regolarità delle elezioni di domenica, con particolare riferimento alla libertà di informazione, condizione indispensabile per un regolare svolgimento del voto.