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Turchia, la censura di Erdogan è solo l’ultima di una lunga serie

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La censura imposta sulle immagine della strage di Ankara è solo l’ultima decisione antidemocratica del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Una goccia nel mare della negazione del diritto di parola e della libertà di stampa di cui Erdoğan si è dimostrato campione prima come premier e, dal 10 agosto 2014, come presidente della repubblica fondata nel 1923 da Mustafà Kemal Pascià “Atatürk”.

Il giorno prima che il duplice attentato colpisse la manifestazione per la pace organizzata nella capitale turca dal partito moderato curdo, dai sindacati di sinistra Disk e Kesk, dalle opposizioni e da alcuni ordini professionali per chiedere la fine del conflitto con i separatisti del Pkk, un tribunale di Istanbul aveva emesso un mandato di arresto per Bülent Kenes, direttore dell’edizione inglese del quotidiano turco Zaman, il più diffuso del Paese, con l’accusa di aver insultato Erdoğan via Twitter. Il giornalista, già condannato a giugno a 21 mesi con pena sospesa per un altro tweet sul presidente, ha negato le offese, sostenendo di aver soltanto espresso il suo diritto di critica. Nel tweet Kenes aveva condannato l’offensiva scatenata contro le voci critiche da Erdoğan e dal suo partito al potere, l’Akp, con la messa al bando, grazie a una magistratura compiacente, di giornali, canali tv, reporter, accademici e intellettuali colpiti da indagini la cui motivazione è solo politica. «In Turchia la situazione è terribile – ha detto Kenes – e il principio dello stato di diritto è stato schiacciato, per questo tante persone sono solo in attesa del momento in cui saranno perseguite».

L’azione messa in campo dai giudici turchi negli ultimi anni, complice un impianto normativo penale che dà loro molta discrezionalità rispetto ai reati di opinione e alle offese alle autorità (art. 301 del codice penale), ha tutto il sapore di una campagna di epurazione nei confronti dei giornalisti scomodi per il presidente. Il quotidiano Zaman, di cui Kenes è direttore, fa capo al magnate e imam Fethullah Gulen, ex alleato di Erdoğan e ora considerato il nemico numero uno del leader turco che lo accusa di aver creato uno stato parallelo con l’obiettivo di rovesciarlo, tanto che nei mesi scorsi erano stati arrestati centinaia di affiliati a Hizmet, la confraternita islamica di cui fa parte Gulen, sul cui stesso capo pendono due mandati di cattura e che per questo dal 1999 vive in auto esilio negli Stati Uniti in Pennsylvania.

Comunque Bülent Kenes, che per la sua attività di giornalista ha già affrontato nove denunce penali, due cause di risarcimento danni e sei indagini a suo carico, è solo uno delle centinaia di giornalisti finiti nel mirino della magistratura con l’accusa di vilipendio a Erdoğan dalla sua elezione a presidente. Solo per citare gli ultimi episodi sempre il 9 di ottobre la magistratura ha condannato a 11 mesi e 20 giorni (con pena tramutata in sanzione) due giornalisti del quotidiano Sozcu: l’editorialista Necati Dogru con l’accusa di aver insultato Erdoğan e il commentatore Ugur Dundar per presunte offese rivolte all’ex ministro dei Trasporti Binali Yildirim. Rischia invece 4 anni e 8 mesi Baris Pehlivan, direttore del sito OdaTv, per presunti insulti ai figli di Erdoğan, Sumeyye e Bilal.

Un mese fa, il 15 settembre, la polizia turca ha fatto irruzione nella sede di Nokta e sequestrato in edicola le copie dell’ultimo numero che in copertina aveva un fotomontaggio di un Erdoğan sorridente che si fa un selfie con alle spalle soldati che portano in spalla la bara di un militare morto. Durante il raid è stato anche arrestato Murat Çapan, direttore del settimanale. Lo scorso giugno Can Dundar, direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, era stato arrestato con l’accusa di alto tradimento per la pubblicazione di foto di camion attribuiti ai servizi segreti turchi carichi di armi destinate ai ribelli islamisti siriani.

Un’impressionante stretta alla già labile libertà di espressione sul suolo turco non può non essere messa in connessione con la campagna elettorale in corso per le elezioni parlamentari anticipate del 1 novembre prossimo.


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