Gli scontrini di Marino sì, i bilanci dei partiti no.
Il (giusto) controllo delle spese non vale per tutti. O almeno non per il finanziamento dei partiti, che ieri si sono votati una sanatoria per incassare i loro fondi pubblici. Che invece la legge prevedeva di rendere disponibili solo dopo una verifica contabile. Ma la commissione dedicata è stata – guarda caso – privata del personale necessario e quindi ha dato forfait.
Ma qui la casta ha dato una prova di efficienza, che smentisce la lentezza del sistema legislativo, alla base della sterilizzazione del Senato. Con una sgommata, il turbo bicameralismo perfetto ha approvato in 27 giorni la spartizione dei fondi, con l’unica eccezione del M5S. Che più rifiutano i soldi pubblici, più salgono nei sondaggi.
E qui c’è un blocco culturale dei partiti che è inspiegabile.
Non riescono a capire che uno dei più grandi fattori di rottura con l’elettorato è proprio il rapporto malato tra politica e denaro. Basterebbe per loro mettersi a dieta di stipendi e privilegi, per risalire nella credibilità. Ma non lo fanno, perché sono pieni di persone (non tutte), che hanno scelto la carriera politica per arricchirsi, senza la fatica della cultura, né il disagio della coerenza.
Portando borse dei capi senza ideali e a testa in giù, sognando solo stipendio, immunità e auto blu.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21