Ho avuto la fortuna di conoscere Clementina Merlin detta Tina, quando dirigeva, con la passione di sempre, le pagine venete de l’Unita. La Redazione stava nella “Mitica” sede di Cannaregio, dove, a pochi metri di distanza, potevi trovare il comitato regionale e la Federazione veneziana del PCI, la camera del lavoro, l’Unione donne italiane, l’istituto Gramsci…
Tina Merlin era trattata con rispetto, quasi con devozione, perché era “Quella del Vajont”, l’ex staffetta partigiana che, da giornalista, non aveva esitato a denunciare i rischi derivanti dalla costruzione di una diga in zona franosa. Quella giornalista coraggiosa, nata a Trichiana nel bellunese, aveva scritto decine di cronache raccogliendo le voci e i pareri chi denunciava la fretta, l’approssimazione, persino l’occultamento delle perizie non gradite.
La saggezza popolare aveva chiamato “Toc”, marcio, avariato, quel monte che sovrastava la diga, e proprio dal Toc si staccó la frana che avrebbe determinato l’ondata mortale: 1910 vittime in pochi secondi. Per le sue denunce e le sue inchieste Tina Merlin, per molti anni, non ebbe premi ed onorificenze, ma minacce e querele. I censori di allora, ottusi come quelli di oggi, la denunciarono per diffamazione e per aver diffuso notizie false e tendenziose “Atte a turbare l’ordine pubblico”.
Contro di lei furono scagliate le “querele temerarie”, ieri come oggi la vera arma utilizzata per intimidire editori e cronisti. Alla fine sará assolta, dopo anni di scontri, calunnie, e campagne di stampa promosse dagli amici della Sade, naturalmente i suoi nemici non pagarono il conto delle loro molestie contro Tina e contro l’articolo 21 della Costituzione.
Oggi ricordiamo le vittime di quel 9 ottobre del 1963, insieme a loro la memoria di quella staffetta partigiana, giornalista e comunista, che aveva scelto di non tradire la sua gente e di dedicare la vita a ricercare verità e giustizia.